In quest’epoca postmoderna, nel mondo reale è tramontata l’idea del posto fisso. I nostri ragazzi hanno come orizzonte l’Europa per non dire il mondo. Le connessioni sono sempre accese e non esistono più fusi orari, tantomeno limiti di confine. A differenza dei loro padri e nonni l’idea di entrare in un luogo di lavoro e rimanerci per 35 anni filati (allora erano il minimo degli anni richiesti per ottenere la pensione) non è presa nemmeno in considerazione.
Checco Zalone ha celebrato questa idea del posto fisso, inserendola in un clima sociale (quello del Sud) dove il massimo dell’aspirazione è ottenere il posto fisso in un pubblico servizio alle dipendenze dello Stato. “Quo vado?” è ricco di ironia, ma dice di un clima che sta cambiando anche là e che si riesce a mantenere quel posto a costo di utilizzare tutti gli stratagemmi possibili (appellandosi anche allo zio senatore conoscitore delle leggi). D’altra parte c’è un contratto che garantisce i diritti dei lavoratori.
E perché dovremmo stracciarci le vesti se vediamo che nel calcio il singolo lavoratore vuole cambiare datore di lavoro? Crediamo forse alle bandiere? Ai capitani di lungo corso? Il discorso è molto semplice. Un calciatore sale di livello con la squadra che lo ha scelto. Dà il suo apporto, ottiene risultati e viene ambito da club più rinomati che lo contattano e gli offrono quattro-cinque volte più dello stipendio che attualmente ha a contratto con la sua squadra.
Il calciatore inorgoglito da tanta considerazione chiede alla società di lasciarlo libero. La società, che detiene il cartellino fissa un prezzo e da lì inizia un braccio di ferro tra i diversi interpreti. C’è un procuratore che fa da tramite tra vecchia e nuova società. Più ottiene il calciatore, più guadagna il procuratore. La società vorrebbe fare plusvalenza e fissa un prezzo, il più alto possibile. Chi compra vorrebbe pagare meno e fa leva sul calciatore.
La società si sente danneggiata da queste intrusioni, ma più il livello della squadra sale e più queste cose sembrano essere la normalità nel mondo del calcio. Guardate Mbappé che è uscito dal PSG a parametro zero e si è accasato al Real Madrid prendendo una barcata di soldi, dopo che ha lasciato scadere il contratto senza accettare il rinnovo come richiesto dalla sua società.
All’Atalanta sta succedendo un po’ questo. Koopmeiners (ambito dalla Juve) e Lookman (ambito dal Psg) vedono nel breve orizzonte la possibilità di fare un salto enorme dal punto di vista economico. Le società sono un po’ più sgamate dei singoli calciatori e inducono gli stessi a irrigidirsi con la società di appartenenza. Così Koopmeiners ha presentato (siamo al secondo) i certificati medici per dire che è stressato. E si è chiamato fuori. Non si allena con la squadra, ha saltato la finale di Supercoppa (quando mai gli ricapiterà di rigiocarla?) e ora anche Lookman, alla vigilia della partita col Lecce non si è presentato all’allenamento e ha chiesto di non essere convocato.
È legittimo che un calciatore ambisca ad andare altrove, ma almeno sia leale verso la società. E la società, preso atto che un giocatore vuole andare, è meglio per tutti che lo lasci andare. Inutile trattenere chi non vuole rimanere. Da ultimo non si capisce perché un giocatore che è stato richiesto da un’altra società non possa giocare fino all’ultimo giorno nella squadra in cui è alle dipendenze onorando il contratto fino alla fine.
Ai tifosi e alla società che si dicono meravigliati in modo negativo da questi atteggiamenti chiedo: ma non siete voi che quando un giocatore non rende come dovrebbe lo si mette ai margini, lo si lascia in panchina, non lo si fa giocare, lo si fischia, lo si manda a quel paese? I campioni sono campioni finché si vince, poi si è pronti a scaricarli in un amen. E meno male per loro che hanno un contratto. Quando, invece, è il campione a chiedere il trasferimento allora vien giù il mondo. La situazione è complicata.
Per chiuderla in modo ironico (visto che queste situazioni se ne vedono ovunque in giro per l’Europa e non solo in Italia) chiediamo a Zalone di fare un sequel di “Quo Vado?”, ma questa volta per raccontare la storia rovesciata.