Fabrizio Carcano
L’Europa del pallone, da quando è iniziata la crisi per la pandemia del coronavirus, ha parlato, senza capirsi, una babele di lingue incomprensibili in cui ognuno è andato per conto suo. Campionati interrotti con settimane di differenza, gare delle coppe europee giocate nella stessa settimana a porte aperte o chiuse (il martedì Valencia-Atlanta senza pubblico, il giovedì Liverpool-Atletico Madrid con spalti gremiti), partite non disputate nella stessa giornata in base ai diktat delle federazioni. E ora una ripresa parziale, per alcuni non per tutti, senza campionati in Francia, Olanda e Belgio, con date diverse e regole diverse. In tutto questo caos organizzativo c’è anche un’Europa del calcio che parla una lingua sola e ragiona all’unisono: è quella delle curve. Degli ultras, degli hooligans, delle farm, dei gruppi organizzati. A ogni latitudine europea. Ben 185 fazioni unite da un unico virtuale striscione per dire no, per chiedere che il calcio (a porte chiuse) non riparta. Perché questa, principalmente, è la molla che spinge gli ultras europei a protestare: l’esclusione del pubblico dagli spalti. Stop Football – No football without fans, si legge nel documento stilato dalle tifoserie europee con cui gli ultras chiedono alle federazioni e agli “organi competenti di mantenere il fermo delle competizioni calcistiche finché affollare gli stadi non tornerà a essere un’abitudine priva di rischi per la salute collettiva”. Dunque, no al calcio degli spalti vuoti, non alle partite senza pubblico. Vale per la maggioranza di gruppi ovviamente, poi ci sono anche altre ragioni. Come quelle delle curve storicamente rivali di Atalanta e Brescia, stavolta accomunate nel chiedere di non giocare per rispetto dei tanti morti pianti dai loro territori. La protesta della Curva Nord Pisani a Bergamo ha preso forma nel tardo pomeriggio di martedì 12 maggio, quando gli ultras nerazzurri hanno appeso un lungo striscione sul marciapiede di viale Giulio Cesare. Due righe per manifestare la loro contrarietà: “Il nostro dolore volete dimenticare… Ma senza la sua gente non ha senso tornare a giocare!” Presa di posizione annunciata perché il 26 marzo, nel momento più drammatico della pandemia, nei giorni delle bare portate via dai mezzi dell’esercito, ad alzare la sua voce era stato il leader indiscusso della curva, il Bocia, Claudio Galimberti, con una lettera pubblica rivolta al presidente Antonio Percassi per chiedergli di ritirare la squadra in caso di ripresa della serie A.