Doria (Sir): “In reumatologia terapie cellulari superano anticorpi monoclonali”

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(Adnkronos) – "Nella terapia delle malattie reumatologiche stiamo assistendo a una grande innovazione, rappresentata dalle terapie cellulari. Oggi, anziché utilizzare gli anticorpi monoclonali come in passato, iniziamo ad utilizzare delle cellule ingegnerizzate per colpire dei bersagli specifici. Si tratta quindi di terapie mirate che permettono di targettizzare le cellule implicate nel processo patologico". Così Andrea Doria, presidente Sir – Società italiana di reumatologia e professore di Reumatologia all’Università degli studi di Padova, anticipando oggi a Milano i temi principali del Congresso Sir 2025, in programma a Rimini dal 26 al 29 novembre. Tipicamente si utilizzano "i linfociti T che, dopo essere stati prelevati dal paziente attraverso la linfoaferesi – spiega Doria – vengono portati in laboratorio e ingegnerizzati ad esprimere il recettore chimerico per l'antigene che va a colpire i linfociti B, responsabili della produzione degli autoanticorpi, i biomarcatori specifici delle malattie reumatologiche. Questi vengono quindi infusi nel paziente e vanno a colpire le cellule verso cui sono diretti. Il meccanismo d'azione è molto più semplice rispetto a quello degli anticorpi monoclonali – osserva l'epserto – perché una volta che il linfocita T incontra il linfocita B, lo distrugge, determinando quindi una deplezione del numero dei linfociti B molto maggiore e molto più persistente rispetto a quella data dagli anticorpi monoclonali che abbiamo utilizzato fino adesso. Dal punto di vista clinico le terapie cellulari sono infatti in grado di indurre delle remissioni prolungate". Rispetto alla Car-T tradizionale, impiegata in oncologia, che produce linfociti T effettori, "in studi recentissimi sono stati impiegati i linfociti T regolatori, che hanno dato il via a un'altra piccola rivoluzione – prosegue Doria – Quando questi linfociti T regolatori montano un recettore chimerico per l'antigene vanno a colpire l'antigene specifico – nel caso dell’artrite reumatoide, ad esempio, quello della citrullina – si legano a esso e inducono un ambiente antinfiammatorio immunomodulante. Il vantaggio è quindi quello di ridurre l'infiammazione senza distruggere le cellule". La distruzione delle cellule B derivata dall’impiego di linfociti T effettrori "comporta infatti degli effetti collaterali – precisa il presidente Sir – come la sindrome da secrezione di tipo chimica che è molto importante, che si verifica in una frequenza piuttosto elevata e che si deve combattere ad esempio con l'impiego delle dell'anti interleuchina 6, oppure si possono verificare alterazioni neurologiche indotte da cellule effettrici. Sono convinto – aggiunge – che nei prossimi anni avremo la possibilità di manipolare il sistema immunitario dei nostri pazienti cercando di indurre una remissione il più profonda possibile con meno effetti collaterali possibili". La disponibilità di terapie all’avanguardia e lo studio di trattamenti ancora più efficaci e con minori effetti collaterali si scontrano però con la difficoltà di diagnosi e presa in carica con cui i pazienti devono ancora troppo spesso fare i conti. "La reumatologia vive una sorta di contraddizione- afferma Doria – I reumatologi sono concentrati negli ospedali, dove però dovrebbero essere curate solo le malattie più gravi e rare. Viceversa, nel territorio ci sono le malattie reumatologiche più alto impatto epidemiologico, come l'artrosi, l'osteoporosi, la fibromialgia, ma ci sono pochi reumatologi. Questa è una contraddizione che deve essere curata. Una maggior presenza di reumatologi nel territorio porta a una diagnosi precoce e dunque a un riferimento precoce ai centri specialistici. Questi ultimi, a loro volta – conclude – verrebbero così sgravati da tutta quella mole di pazienti che potrebbero essere seguiti nel territorio, a grande vantaggio dei pazienti e anche dei reumatologi".   
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