di Marco Locatelli
La boxe come medicina per migliorare la vita, anche per chi soffre di malattie neurodegenerative come il Parkinson. Un concetto che potrebbe sembrare per certi versi estremo e in antitesi, ma reso più chiaro durante la tre giorni dedicata alla “nobile arte” svoltasi a San Pellegrino Terme dall’10 al 12 febbraio, a margine degli studi portati avanti dalla Commissione medico-scientifica Studi e Ricerche della Federazione pugilistica italiana (parte dal Coni) su alimentazione nel pugilato, neuro-protezione per il boxer e – appunto – la boxe nel mondo della disabilità.
“Quando mi alleno mi sento molto meglio, torno a casa con movimenti molto più fluidi e sono anche riuscito a ridurre l’utilizzo dei farmaci“, racconta Graziano, 55 anni, a cui il Parkinson è stato diagnosticato 10 anni fa e da quattro si sta allenando, insieme ad altri, nella palestra Supreme Fighting Team Bergamo con l’istruttore Elio Pinto.
Per Alma, a cui il Parkinson è stato diagnosticato quando aveva solo 36 anni e oggi ne ha 49, la differenza è soprattutto nel riposo: “Da quando mi alleno ho notato un miglioramento nel dormire. Il sonno è diventato molto più ristoratore, e per chi ha il Parkinson è spesso molto difficile dormire. Fondamentale anche il fatto di socializzare e stare insieme ad altre persone che hanno il mio stesso problema“.
Queste alcune delle testimonianze “venute fuori” durante il convegno promosso dall’Associazione Genesis e dal Comitato Coppa Angelo Quarenghi (che promuove lo sport nella disabilità portando ogni anno a San Pellegrino un torneo di calcio di Quarta Categoria, disabilità cognitivo-relazionali).
La paraboxe che praticano Graziano e Alma potrebbe aiutare moltissime altre persone a migliorare la loro vita e rimettersi in gioco grazie al lavoro della Commissione medico-scientifica Studi e Ricerche della Federazione pugilistica italiana presieduta dal prof. Mario Ireneo Sturla, che sta lavorando proprio per permettere a persone con disabilità di praticare la boxe in maniera ufficiale: “Abbiamo elaborato un protocollo approvato dalla Federazione Internazionale di Medicina dello Sport, dalla Federazione Pugilistica Italiana e dalla Federazione Italiana Sport Disabili affinché venissero fatte della classificazioni per atleti con disabilità fisica per permettere loro di praticare la boxe a contatto controllato“.
Oltre alla boxe nella disabilità, è stato trattato anche il tema della prevenzione, soprattutto del traumatismo cranico, come evidenzia Sturla: “Se negli altri sport l’eventuale trauma cranico è una casualità, nel pugilato è un fatto decisamente più frequente. L’uso del caschetto, ad esempio, presenta meno benefici di quanto si possa pensare. Può infatti portare un atleta a curare meno la difesa, ridurre il campo visivo e quindi essere più facilmente colpito“.
E sugli esami, si aprono all’orizzonte possibilità sempre meno invasive: “Con semplici esami del sangue – affidabili quasi quanto una TAC – si riesce a capire se il cervello ha subito un trauma – sottolinea Sturla -. Non solo: in USA ci sono anche esami che, attraverso un marcatore genetico, riescono a dirci se una persone è maggiormente predisposta a malattie neurodegenerative come Parkinson o Alzheimer. E quindi si può consigliare eventualmente a queste persone di non praticare sport di combattimento“.
Nel frattempo si sta lavorando a una classificazione della boxe per disabili, la prima al mondo. “Stiamo studiando una classificazione per disabili nella boxe che si basa sul residuo funzionale – spiega Italo Guido Ricagni, medico della FPI – . Nei casi, ad esempio, del Parkinson, fondamentale sarà la coordinazione motoria. La classificazione avverrà su due livelli: il primo in ambulatorio che necessiterà di una visita di 45 minuti utile per analizzare parametri come coordinazione, forza, escursione articolare. Poi si passerà ad una seconda fase fatta sul campo. A quel punto viene assegnata una categoria. Ci siamo un po’ ispirati alle classificazioni di altri sport per disabili come scherma o nuoto“.
Dell’alimentazione del pugile – altro punto trattato durante il convegno a San Pellegrino – ci parla Luca Pacciolla, medico sportivo e nutrizionista: “È molto complesso parlare di alimentazione nel pugilato. Si deve lavorare molto sulla cultura, perché in questo sport la categoria è legata al peso e quindi, spesso e volentieri, il pugile viene sottoposto a cali di peso molto rapidi in prossimità degli incontri. Due gli aspetti fondamentali: dieta e idratazione. Noi ci battiamo contro le variazioni di peso prima dei match con diete restrittive; il pugile dovrebbe arrivarci in modo fisiologico, perché queste diete sono l’anticamera di danni alla salute, anche a lungo termine come i disturbi del comportamento alimentare. Questi “tagli del peso” generati da disidratazione portano a cali di attenzione e problematiche di performance muscolare, oltre che a traumatismo cranico. Stiamo lavorando ad uno studio su effetti e benefici e rischi di un’alimentazione errata del pugile“.
“San Pellegrino Terme – conclude dottor Giampietro Salvi, presidente dell’Associazione Genesis – ancora una volta luogo di incontro per iniziative di carattere culturale, scientifico e sociale. Abbiamo avuto la prova di come la paraboxe, come altre attività fisiche, abbia la funzione di un ‘farmaco’ per le persone con disabilità, migliorando nel caso, ad esempio, del Parkinson l’equilibrio e la coordinazione. Inoltre ci sono anche migliorie sulla socialità, portando vantaggi cognitivi ed emotivi. Tutti questi concetti, così come anche la prevenzione e l’alimentazione nella boxe, verranno ripresi durante un congresso nazionale sulla medicina dello sport organizzato dal Comitato Coppa Angelo Quarenghi e che si terrà a San Pellegrino sabato 15 aprile“.