Giacomo Agostini ospite alla Biblioteca dello Sport di Seriate: “Sono stato vicino alla Ferrari, ma ho deciso di rimanere in moto”

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di Marco Cangelli
Gli anni passano, eppure Giacomo Agostini conserva sempre saldamente lo spirito di quel ragazzo che, appena maggiorenne, prendeva parte alla Trento-Monte Bondone mostrando sin da subito il proprio talento.

Quella classe non si è mai spenta, nonostante gli 81 anni festeggiati con qualche giorno di anticipo con tanto di torta e champagne, da attrarre ancora molti giovani che, di fronte alle parole del motociclista più titolato della storia, rimangono a bocca aperta, quasi si trattasse di una leggenda vivente.

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Emozioni che il pilota di Lovere ha trasmesso anche in occasione dell’incontro svoltosi presso la Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini” di Seriate andato in scena nella serata di martedì 13 giugno e che ha visto il campione orobico dialogare con il giornalista della Gazzetta dello Sport Paolo Ianieri.

Biblioteca dello sport Seriate
Foto di Marco Cangelli

I quindici titoli mondiali conquistati fra le classi 350 e 500 accompagnate dalle 123 vittorie colte in quattordici anni di carriera non bastano per spiegare la storia di un fuoriclasse che ha faticato a emergere, soprattutto per via della volontà dei genitori di impedire ad Agostini di intraprendere un’avventura particolarmente rischiosa.

Ho avuto la fortuna di fare ciò che amavo sin da bambino, tuttavia i miei genitori non volevano in alcun modo che corressi, anzi, non capivano da dove arrivasse questa mia passione. Per far sì che mi passasse questa voglia, quando ho compiuto 18 anni mio padre mi ha regalato una Giulietta Sprint rossa pensando che potessi passare alle quattro ruote, ma non c’è stato nulla da fare – ha raccontato il centauro bergamasco -. Quando cadevi all’epoca infatti spesso morivi, e per questo ora capisco la loro decisione, tant’è che spesso non li invitavo nemmeno alle gare perché non sapevo se li avessi rivisti. Quando sono diventato maggiorenne sono tuttavia andato da un notaio amico di mio padre affinché mi aiutasse a convincerlo per firmare e lasciarmi correre. Lui gli disse che fare dello sport mi avrebbe fatto bene, soprattutto dopo aver capito che avrei corso in ‘bicicletta’ invece che in ‘motocicletta’. Ciò spinse mio padre a firmare e a trasformare così quel sogno“.

Il talento rimane comunque un elemento innato, che soltanto la natura può regalare, e che più volte ha lasciato stupiti i colleghi di Agostini, costretto a rincorrerlo invano e a prendersi alcuni rischi che talvolta li portavano a scivolare e a dover lasciar andare “Mino”.

Biblioteca dello Sport di Seriate
Foto di Marco Cangelli

Lo stesso talento emerse subito alla prima prova lungo le pendici del Bondone quando il giovane loverese, dotato di una Moto Morini 175 Settebello acquistata a rate presso la concessionaria di via Stoppani, riuscì a cogliere a sorpresa un secondo posto battendo numerosi piloti ufficiali e attirando l’attenzione della scuderia pesarese, pronta a offrirgli un contratto di 200.000 lire mensile oltre a una moto adatta.

Quel successo arrivò infatti con un mezzo settato per l’utilizzo quotidiano, con tanto di bauletto con i ferri, e soprattutto preparato con l’aiuto di un “meccanico” di fortuna, ufficialmente impiegato come panettiere a Lovere.

Una storia di altri tempi che si aggiunge alle numerose imprese del motociclista tricolore che ha fatto la storia con la MV Agusta e la Yahama, tanto da stringere un rapporto particolarmente intenso con il Conte Agusta nonostante gli inizi un po’ difficili.

Biblioteca dello Sport di Seriate
Foto di Marco Cangelli

Un sodalizio che lo ha portato a trionfare sui circuiti di tutto il mondo, ma in particolare al Tourist Trophy, l’estenuante competizione che va tuttora in scena sull’Isola di Man e che all’epoca era valida come prova del Campionato del Mondo.

Eravamo costretti ad alzarci alle 4.45 per provare il circuito visto che alle 7 aprivano le strade al traffico e non potevamo di conseguenza più girare. Fate il calcolo che un giro era lungo 60 chilometri e quindi durante una tornata potevamo trovare condizioni completamente diverse, dal sole alla neve passando per vento e pioggia. Il fascino di quella pista è paragonabile con nessun’altra, eppure i rischi erano elevatissimi visto che la gara erano 360 chilometri pieni di buche, salti su cui si rischiava di ribaltarsi a volte – ha spiegato Agostini -. L’attenzione era tale che non potevi pensare che a guidare e non avevi nemmeno tempo per pensare alla morte. Tuttavia ogni anno si perdevano almeno 4-5 amici, per cui nel 1972, dopo la scomparsa di un mio caro amico, ho fatto di tutto perché questa prova venisse tolta dal Mondiale facendo così che potesse parteciparvi soltanto chi voleva“.

Il pericolo e la sicurezza è uno dei punti su cui Agostini si è più battuto durante la sua carriera, tuttavia ciò non lo esime da porre alcune annotazioni al Motomondiale odierno, divenuto secondo il campione troppo legato alla tecnologia e sempre meno al talento del pilota.

La dimostrazione arriva dalla possibilità della maggior parte dei centauri in pista di poter lottare per la vittoria, togliendo così parte dello spettacolo che caratterizzava i duelli dei “ruggenti” Anni ’60 e ’70.

Se all’epoca si cadeva, si rischiava di morire, oggi invece, grazie ai progressi del materiale, non succede nulla e ciò spinge il pilota ad andare più al limite. Tuttavia l’elettronica la fa da padrona e non conta più quanto il pilota sappia fare con il mezzo – ha sottolineato il loverese -. È inutile incrementare la velocità perché questa non è sempre sinonimo di spettacolo, infatti alcuni anni fa, quando ero presidente della Federazione, ho parlato con Dorna chiedendo di fermare lo sviluppo tecnologico, ma non c’è stato nulla da fare. Oggi vedo molto bene Bagnaia perché, come facevo io, sfrutta le prove per mettere a punto il mezzo e andare forte in gara come facevo io. Non serve a nulla cercare di firmare subito il miglior tempo se poi sbagli e ti innervosisci, questa credo sia la tattica più intelligente“.

Dietro la carriera di un campione come Giacomo Agostini ci sono però anche alcuni retroscena che vanno dal primo incontro con il Conte Agusta, deciso a lasciare il pilota bergamasco in attesa per ore prima di testarlo il giorno successivo fra le gimkane sulla pista di Monza, al possibile passaggio nella Formula 1 su volontà dello stesso Enzo Ferrari.

Il “Drake” dovette incassare un diniego inaspettato complice la grande passione del fuoriclasse delle due ruote che non voleva abbandonare la passione coltivata sin da bambino: “Incontrandoci spesso con la Formula 1 negli stessi circuiti dove correvamo, l’ingegner Ferrari notò il mio talento e mi propose di correre per la sua scuderia. Ci pensai qualche giorno, tuttavia mi accorsi che la mia passione era legata alle moto per cui rifiutai, ma lui comprese la mia scelta – ha raccontato Agostini -. Un’altra proposta l’ho ricevuta da Pietro Gelmi per partecipare a un suo film. Avevo già fatto ‘Carosello’ e qualche ‘musicarello’, ma non ero un attore. Lui mi disse che mi avrebbe guidato passo passo e ce l’avrei potuta fare, tuttavia il bello di iniziare mi comunicò che avremmo dovuto girare da marzo in giro per l’Italia per 5-6 mesi. Un programma impossibile visto che avrei iniziato a correre poco dopo e quindi ho dovuto rifiutare“.

Il più grande rimpianto dell’asso del motociclismo mondiale è tuttavia la mancata realizzazione di un museo dedicato allo sport bergamasco, una proposta che trovò l’appoggio di Alberto Bombassei, ma che non ha mai trovato terreno fertile presso le istituzioni.

Avevo pensato di fare un museo dedicato a Brembo, Gimondi, Facchetti e Agostini, il tutto al Kilometro Rosso. Ne ho parlato anche con il sindaco di Bergamo, ma non se n’è potuto fare nulla nonostante ero disposto a cedere i miei cimeli gratuitamente. È un peccato perché ho dovuto costruirmi un museo privato a casa mia, ma lo spazio è piccolo per cui adesso sto pensando di scavare sottoterra al fine di poterlo ampliare“.

Ma c’è pur sempre la proposta di Valerio Bettoni, presidente dell’Aci Bergamo, di poter realizzare questo museo all’aeroporto, una vetrina con 35 milioni di potenziali visitatori. Chissà…