La storia nerazzurra di Miro Radici raccontata da Pietro Serina: dal calcio romantico alla notte di Dublino

Il libro è stato presentato lunedì sera 11 novembre alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate.

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La serata alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate è di quelle speciali e lo capisci dal parterre. Il personaggio in questione è un imprenditore che ha fatto la storia dell’economia della Valle Seriana a cavallo tra i due secoli: questo e il Novecento. E tra le sue tante iniziative imprenditoriali c’è anche una lunga parentesi ventennale tra le pieghe dell’Atalanta, prima come vicepresidente e poi come proprietario.

E allora capisci perché sono venuti ad ascoltarlo il direttore generale dell’area Corporate dell’Atalanta Andrea Fabris, e poi Ottavio Bianchi giocatore nonché allenatore e oggi testimonial di un calcio che riporta il tempo indietro ad Armando Maradona. Walter Bonacina, il grintoso centrocampista arrivato nell’olimpo giallorosso della Roma. Umberto Bortolotti a ricordare l’epopea della famiglia Bortolotti di Achille e Cesare. Il figlio Nicola Radici e tante famiglie dagli Zambaiti ai Morotti tutti lì a testimoniare di un legame con la famiglia Radici.

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Miro Radici racconta la sua storia familiare e imprenditoriale, prima che della sua storia in nerazzurro. Ad aiutare a mettere in fila tutti i suoi ricordi Pietro Serina, decano tra i giornalisti sportivi, prima firma de L’Eco di Bergamo e oggi al Corriere della Sera Bergamo che da quarant’anni racconta le vicende del calcio dilettantistico e dell’Atalanta.

Ne è uscito un libro, per la Bolis Edizioni, che porta il titolo: “La mia vita con l’Atalanta. Storie di un calcio romantico”. E il racconto parte dal punto più alto mai raggiunto dall’Atalanta. Ed è la conquista della Europa League a Dublino dell’Atalanta di Antonio Percassi. “Perché a Dublino il 22 maggio 2024 – sottolinea Miro Radicic’erano tutti quelli che hanno partecipato alla vita dell’Atalanta. Dai cinque fondatori del 1907 a oggi. Anche le persone più umili che hanno fatto la storia del club. Senza di loro non ci sarebbe stato Dublino”.

E il ricordo si lega immediatamente all’altro punto cruciale vissuto dall’Atalanta: la semifinale della Coppa delle Coppe. La partita con il Malines, il 20 aprile 1988. “Di quella partita si ricorda li clima che si respirava in città e provincia. Abbiamo perso, ma il risultato non contava. Era molto più importante vivere il sogno. Era un evento straordinario. Oggi quell’evento straordinario lo si vive ogni domenica come fosse diventato l’ordinario”.

Perché la cosa funzioni, prima dei giocatori e degli allenatori – continua Radici – serve che ci sia una società che funzioni. Se funziona la società, allora funziona anche l’allenatore. Ed è proprio quello che succede oggi”.

Miro Radici-Antonio Percassi un rapporto che ha avuto vicinanza e allontanamento, unione e divisione dovuta a una diversa visione delle cose. “Io avevo una mia filosofia ereditata da mio padre che diceva ‘I primi soldi guadagnati sono quelli risparmiati’, mentre Percassi aveva visione di grandi investimenti. Così le nostre strade si sono divise – spiega Radici -. Ma devo dire che la sua visione gli sta dando ragione”.

Il libro racconta molti aneddoti sulla sua vita nerazzurra da dirigente. Gli aneddoti più clamorosi riguardano il mancato acquisto di Batistuta (bocciato da Franco Previtali). E la vendita di Roberto Donadoni al Milan, già promesso alla Juventus. “Boniperti propose un miliardo di lire per l’acquisto del nostro attaccante – racconta Radici -. Poi Berlusconi ci chiamò ad Arcore e ci firmò un assegno in bianco. Alla fine pagò il giocatore 8 miliardi. Pari al bilancio di un anno dell’esercizio societario. Boniperti si offese e lo ritenne un oltraggio. Andammo da Boniperti e gli offrimmo tutta l’Atalanta”.

Per quanto riguarda la vita da imprenditore, Miro Radici già nella dedica del libro cita il fratello Gianni. “È lui che ci ha portati qui come famiglia. Mio padre era un commerciante, ma è Gianni il volano che ha aperto la strada dell’imprenditoria familiare. Un grande uomo”. Di lui ha una vera e propria venerazione.

Per comprendere chi sia Miro Radici e di quale linfa si alimenti lo si capisce dalla risposta che dà alla domanda dell’interlocutore: “Qual è il suo ultimo sogno nel cassetto?”.

Non c’è mai l’ultimo sogno. Ci mancherebbe. Avere l’ultimo sogno significa morire. Semmai il penultimo. In tutte le cose che facciamo ci deve essere sempre un po’ di sogno. È una spinta interiore. E le cose vanno sempre fatte al cento per cento. Se le fai al 99 per cento è come non averle fatte. E, soprattutto, devi chiederti sempre: cosa faccio per gli altri?”. E la citazione alla Fondazione Carisma che si occupa della casa di riposo di Bergamo non poteva mancare.

Questo e tanto altro è riportato nel libro che Pietro Serina, da anni in sintonia con Miro Radici, è riuscito a scrivere perché quella del personaggio Miro Radici è una storia che doveva essere raccontata.