San Pellegrino, il Comitato Angelo Quarenghi consegna il premio alla carriera ad Angelo Domenghini

L'ex campione di Atalanta, Inter e della Nazionale ricorda i suoi trascorsi calcistici.

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di Marco Locatelli
Mentre proseguono i festeggiamenti e gli attestati di stima per gli eroi di Dublino, mercoledì 29 maggio a San Pellegrino Terme un altro eroe – Angelo Domenghini, sempre nerazzurro, prima a Bergamo e poi a Milano – è stato premiato dal Comitato Coppa Angelo Quarenghi con il Premio alla Carriera. Domenghini era ospite dell’Istituto Clinico Quarenghi per una remise en forme in seguito a una broncopolmonite che lo ha costretto a letto per diverso tempo.

Angelo Domenghini, classe 1941, ala e attaccante di grande prestanza fisica e dinamismo, capocannoniere in maglia atalantina di quella storica Coppa Italia, primo trofeo – e fino a pochi giorni fa, unico – alzato dalla Dea. In quella finale, era il 2 giugno 1963, il bomber bergamasco (è nato a Lallio, dove ha ancora casa) siglò una tripletta (unica in carriera) al Torino. E allora il parallelo con l’eroe di oggi, Ademola Lookman, che ha portato a casa il pallone da Dublino, viene spontaneo: “La vittoria dell’Atalanta mi ha fatto un bellissimo effetto. A Lookman auguro di fare tanti gol – dice Domenghini -, molti più di quelli che ho fatto io. Dove sono andato sono sempre stato il secondo cannoniere della squadra. All’Atalanta ho bellissimi ricordi. In quella finale di Coppa Italia eravamo sfavoriti e abbiamo vinto, anche senza allenatore“.

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Dall’Atalanta poi il passaggio all’Inter di Herrera (dove Domenghini incontrerà il sanpellegrinese Angelo Quarenghi, medico della società) dove ha vinto tutto: due Scudetti, una Coppa dei Campioni, due Coppe Intercontinentali. E poi al Cagliari, dove il primo anno vinse l’unico Scudetto della storia del Club. Insomma, Domenghini il calciatore delle “prime volte”: eroe indimenticato del primo trofeo con l’Atalanta, in azzurro al primo Europeo vinto dalla Nazionale nel 1968 (contro la Jugoslavia al secondo tentativo: in quegli anni non si andava ai rigori) e tra i protagonisti del primo e unico Scudetto del Cagliari. La Sardegna è diventata poi la sua casa: “Al Cagliari avevo come mister Manlio Scopigno, che poi mi ha voluto alla Roma. In terra sarda ho solo ricordi belli, e poi lì c’è il mare più bello del mondo. Lo posso confermare, anche se non ho una barca. La mia vita, oggi, si divide tra Lallio e la Sardegna“.

Un campo di calcio che diventa casa, una città che non è solo pallone, ma è soprattutto emozioni (e poi ricordi). Un calcio romantico, un calcio molto diverso anche dal punto di vista tecnico rispetto ad oggi: più tecnica e meno muscoli. Anche se poi, alla fine, “il calcio è sempre quello, perché si gioca con un pallone – scherza il campione di Lallio – . Oggi, però, il pallone è più leggero rispetto ai miei tempi. Aveva pure la stringa, e che male quando ti arrivava in faccia. Anche le scarpe erano durissime, oggi sono molto più comode e confortevoli“. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, Domenghini allena in Serie C in società come Asti, Tortona, Novara e poi torna all’Inter, dove fa l’osservatore per circa 15 anni: “In quegli anni, gli osservatori erano tutti ex calciatori di quella grande Inter in cui ho giocato“.

Ma facciamo un passo indietro, dove tutto è iniziato: il campo dell’oratorio, come nelle vere favole del calcio in bianco e nero. Ma nel caso di Domenghini c’è addirittura del sensazionale: “Fino a 18 anni non avevo mai fatto una partita a 11 – racconta -. Un giorno ero andato a fare un torneo notturno a 7 con alcuni amici, abbiamo fatto tre partite incontrando anche la squadra di don Antonio, responsabile dell’oratorio di Verdello, e ci hanno battuto. Poi, il giorno dopo, il don è venuto a casa mia per chiedermi se accettavo 20 mila lire al mese per giocare nel Verdello, nei dilettanti. E così cominciò la mia carriera calcistica“.

Alla fine del campionato dilettante, in molti si accorsero del talento cristallino di quel giovane Angelo Domenghini che fino all’anno prima non aveva mai giocato al calcio vero, se non qualche partitella con gli amici al campo dell’oratorio. Arriva allora la chiamata dell’Atalanta, che lo porta subito a Zingonia. “All’epoca lavoravo come operaio per 60 mila lire al mese, i miei genitori gestivano una trattoria a Lallio, mi ricordo ancora il bellissimo pergolato con l’uva americana. Poi dopo il campionato con il Verdello arrivò l’Atalanta che mi offrì 150 mila lire al mese. Ci andai di corsa“. Un percorso da predestinato: senza scuole calcio, giovanili e procuratori Domenghini è passato dall’oratorio direttamente in Seria A. Il suo esordio nella massima seria arriva a 20 anni, il 4 giugno 1961, contro l’Udinese.

Il campione sfoglia l’album dei ricordi con una precisione maniacale, soprattutto quando si sofferma sulle formazioni in cui ha giocato e sui compagni di squadra (Riva, Mazzola, Faccehtti tanto per citarne alcuni) e ricorda persino i singoli episodi delle partite. E quando la girandola dei ricordi si ferma alla semifinale dello sfortunato mondiale in Messico 1970, con la finale persa contro il Brasile 4-1, Domenghini non le manda a dire, nonostante siano ormai passati 54 anni: “Tutti si ricordano la grande vittoria in semifinale 4-3 contro la Germania, ma si va a giocare ai Campionati del Mondo per vincere, non per fare le figurine. Avrei pagato qualsiasi cifra per vincere quella finale“. Il Brasile troppo forte? “No, potevamo farcela! Al 65′ eravamo ancora sull’ 1-1. Dall’altra parte c’era uno come Pelè, è vero, ma noi avevamo davanti giocatori come Boninsegna e Riva“.

Angelo Domenghini è una vera e propria leggenda del calcio, ha praticamente vinto tutto ed è senza dubbio uno dei più forti calciatori bergamaschi di tutti i tempi. Per questo motivo, come Comitato Coppa Angelo Quarenghi lo abbiamo voluto omaggiare con un premio alla carriera“, spiega il presidente del Comitato Quarenghi, dottor Giampietro Salvi.