Federica Sorrentino
Immagine o fotografia? Nella civiltà mediatica oltre ogni misura la prima prende il sopravvento, ma brucia nel volgere di un tempo lampo. La seconda, la fotografia, diventa pienamente tale quando è espressione artistica. Se n’è reso conto chi ha avuto la fortuna e il privilegio di visitare l’archivio custodito al Museo delle Storie di Bergamo Alta. E’ lì che è stato raccolto, con l’Archivio fotografico Sestini, il Fondo Pepi Merisio. Il maestro della fotografia per eccellenza, il testimone del secolo passato attraverso i volti e i luoghi della vita, ha fissato straordinari momenti dell’umanità passata, sorpresa nei gesti della quotidianità, nell’umiltà del lavoro, della vita domestica. Senza trascurare i momenti ludici. Bepi Merisio, tuttavia, è rimasto ancorato alle cose vere e, dicono, sotto questo aspetto non si sia spinto oltre l’oratorio. Non ci sono tracce di folle sportive, ma i gesti dei giochi di bambini potrebbero essere stati i primi passi di chi poi magari ha giocato sul serio. Ma lui li ha ripresi nella tenerezza degli anni e nella ingenuità di un campetto dietro la chiesa o di un cortile. Una volta, correva l’anno 1964, è rimasto attratto da un gruppo di seminaristi con tanto di tonaca, indumento certamente non comodo per esercitarsi in attività sportiva, intento a disputare una partita di pallacanestro. Proprio nel campo del seminario vescovile, sorpresi in uno svago improvvisato ma assai coinvolgente, a bene osservare le espressioni di ognuno. Se ne contano sette, più uno seminascosto. Non c’è parvenza di schema, solo s’intuisce che qualcuno ha alzato quella palla perché la prendesse colui il quale, anche grazie all’altezza, se ne sta sotto canestro. Le sue mani protese all’insù sono fissate dal fotogramma un istante prima della presa, semmai ci sarà stata. Pare si tratti dell’unico scatto di natura sportiva che Bepi Merisio si sia concesso. Scatto di una bellezza unica. Sfida e divertimento in un incantesimo di purezza gestuale. A quel tempo, dall’altra parte dell’oceano, probabilmente, tanti ragazzi afroamericani avranno sfidato coetanei bianchi al college o nel classico tre contro tre in uno dei tanti campetti di quartiere. Eppure, quella partita tra amici seminaristi racconta un mondo quanto più vero e spontaneo, guarda caso senza pubblico intorno. C’era un solo testimone, Bepi Merisio, il maestro andato avanti nei giorni in cui nessuno dei milioni di obiettivi incastrati nei nostri telefoni mobili può pareggiare la magia del suo obiettivo ottico.