Troppo rigore

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Eugenio Sorrentino

La terza giornata di campionato fa tornare alla mente i risultati sfavorevoli all’inizio della stagione 2020-21. Ma se un anno fa si poteva parlare del frutto di prestazioni non all’altezza dell’Atalanta, quella persa con la Fiorentina è la classica partita dove gli episodi possono essere a favore o contro. Nessun dubbio che Saturno sia stato contro. Se validato, il gol di Djimsiti nei primi dieci minuti avrebbe disegnato ben altra partita; così come senza lo sfortunato tocco di braccio di Maehle sotto porta dopo la mezz’ora di gioco, probabilmente l’equilibrio sarebbe rimasto tale fino all’intervallo. Con la prospettiva che nella ripresa l’Atalanta avrebbe potuto giocare tutte le sue carte. Mister Gasperini, che nella formazione iniziale ha preferito Maehle e Miranchuk a Gosens e Malinovskyi, si è dovuto ricredere alla luce dello scarso apporto del russo e della serata negativa del danese, un errore del quale ha avviato la ripartenza sfociata nel secondo penalty trasformato da Vlahovic. Il ritorno in campo di Duvan Zapata è stato premiato solo quando, franato Callejon su Gosens in area viola, il colombiano ha messo nel sacco calciando con sicurezza dagli undici metri sotto quella curva nord che, quantunque contingentata nelle presenze, ha incitato la squadra senza sosta. Prima e dopo avere accorciato le distanze, Zapata si è visto negare il gol in due circostanze dal portiere Terracciano, il quale non ha fatto certamente rimpiangere il barbuto Dragowski, superandosi anche in altre circostanze, come su colpo di testa di Palomino. L’ennesima palma del migliore unanimamente assegnate al tucumano riflette la prova di un giocatore che offre garanzie e sicurezza, permettendo alla squadra di costruire dal basso. E se Zappacosta ha confermato le sue doti di cursore di fascia, ricalcando le caratteristiche del convalescente Hateboer, in mediana Freuler è cresciuto alla distanza e il suo ricongiungimento con De Roon non farà che bene al contesto generale. Pasalic mostra di non essere a suo agio con i ritmi e l’aggressività dettati dal ruolo. Malinovskyi, invece, ha dato l’impressione di avere ritrovato la simbiosi con le geometrie; la speranza è che torni sui livelli della scorsa primavera, dettando assist proverbiali. Quanto a Ilicic, fedele al paradigma croce e delizia, lo si è visto in campo nel rush finale, tenuto in panchina per i postumi di un mal di schiena. Seppure ingiudicabile per il tempo limitato di apparizione, ha fatto bene e forse meritava la scena prima. Ma con il senno di poi non si gioca a calcio.

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