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Il limbo del basket in carrozzina

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Federica Sorrentino

Gli sport paralimpici risultano generalmente penalizzati dalla chiusura degli impianti, in ossequio alle misure restrittive anti-Covid. Il basket in carrozzina è tra le discipline costrette allo stop dall’emergenza sanitaria. Ne parliamo con Damiano Airoldi, capitano della SBS, squadra che milita in serie A. Senza poter giocare, fino a nuovo ordine, come si svolge la vostra attività?

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In questo momento il campionato è stato spostato in avanti; sarebbe dovuto iniziare il 21 novembre ed è stato riprogrammato provvisoriamente al 9 gennaio, nella speranza che si possa partire in ragione del miglioramento della situazione sanitaria. La nostra attività consiste negli allenamenti settimanali, per la precisione tre allenamenti nell’arco dei sette giorni. Aspetto importante, abbiamo comunque la possibilità di allenarci, nonostante abitiamo in Lombardia, che è una zona rossa.

Alcuni degli atleti presenti nel vostro roster sono stranieri. C’è qualcuno che potrebbe non essere disponibile allorquando sarà consentito avviare il campionato?

Quello è l’unico dubbio. Abbiamo Joel Gabas, di nazionalità argentina, con cui abbiamo avuto problemi con il visto, perché quando doveva arrivare c’è stato il blocco dei viaggi intercontinentali con l’Argentina, e quindi abbiamo dovuto sospendere il tutto. Adesso stiamo rifacendo tutta la pratica con visti e permessi di soggiorno per riuscire a farlo arrivare in tempo. Mentre l’altro straniero che abbiamo preso quest’anno, l’inglese Martin Edward, fortunatamente non ha problemi per viaggiare.

In serie A non è possibile schierare atleti normodotati che siedono in carrozzina per potersi allinearsi alle condizioni degli atleti paralimpici. In questa fase potrebbe essere opportuno rivedere questa regola?

Non penso che sia opportuno in questa fase. Dal mio punto di vista è sempre stato opportuno. La nostra Federazione fino a due/tre anni fa li permetteva anche in serie A; attualmente li permette solo in serie B. Ci sono altre nazioni europee che consentono questa opzione. È una scelta federale e ne abbiamo preso atto. Personalmente io non la condivido, perché si tratta di avvicinare persone ad un mondo diverso mettendosi in gioco; non è neanche semplice per un normodotato mettersi in carrozzina e giocare in seria A contro atleti professionisti o semiprofessionisti ed essere competitivo. Anche per il normodotato ci sarebbe un gap da riuscire a coprire per essere competitivo e poter partecipare agonisticamente alle partite del campionato di serie A.