di Marco Cangelli
L’importanza della vita si può comprendere appieno in particolare quando si è chiamati a lottare per poterla salvaguardare. Lo sa molto bene Mauro Bernardi che nel 2005 ha dovuto fare i conti con un grave incidente stradale mentre era alla guida di un camion della ditta per cui lavorava.
Una sciagura che non ha cancellato i sogni del 45enne originario di Vertova che ha voluto restituire l’amore offerto dai familiari a coloro che ogni giorno devono affrontare le difficoltà legate alle disabilità diventando un maestro di sci e fondando nel 2015 “Enjoyski Sport ODV”, associazione chiamata a rendere accessibile a tutti il mondo della montagna.
L’organizzazione con sede ad Albino ha infatti promosso numerose iniziative nel corso di questi anni a partire dal progetto “La Montagna per tutti Enjoy” consentendo a numerose persone di avvicinarsi il settore dell’alta quota vincendo i limiti imposti dalla natura e dalle barriere architettoniche.
Mauro Bernardi, sette anni fa ha fondato l’associazione “Enjoyski Sport ODV”, lanciando poi il progetto “La Montagna per tutti Enjoy”. Ci racconta di cosa si occupa?
“Questo progetto prevede di rendere la montagna accessibile senza intervenire direttamente sull’ambiente. L’obiettivo è di mettere a disposizione competenze, attrezzature ed esperienze a rifugi e impianti che hanno a che fare con clientela disabile. Si parte da alcuni sopralluoghi da compiere dove c’è la volontà di aprire queste strutture anche alle persone con handicap, in particolare motori; ed essi consistono nel valutare se ci sono parcheggi in prossimità dedicati ai disabili, verificare che le strutture ricettive non abbiano barriere architettoniche; compiere eventuali piccoli interventi per superare questi problemi e infine, se c’è la possibilità e volontà, di fornire da parte dell’associazione due carrozzine a titolo gratuito per permettere al disabile che arriva a quel rifugio di poter accedere, perché non è detto che arrivi con la propria carrozzina ma a bordo di jolette o monosci. Per andare in montagna nel periodo estivo mettiamo a disposizione delle ‘Joëlette’, una tipologia di carrozzina simile a una biga composta da due aste parallele davanti, due dietro a equilibrare il peso e una ruota nella parte inferiore, trainata da volontari che portano il disabile sino in quota. Da lì il disabile ha l’opportunità di sfruttare la carrozzina tradizionale già presente e così ha modo di muoversi in autonomia. D’inverno, invece, siamo forniti di sei dualski, otto monoski e qualche attrezzo più performante per chi è agonista e questi ultimi vengono messi a disposizione gratuitamente a seguito di una calendarizzazione alle famiglie, alle associazioni e alle scuole sci che vogliono consentire ai disabili di poter sciare sull’intero arco alpino“.
Come si può usufruire di questi ultimi servizi?
“Noi svolgiamo anche un lavoro di formazione presso le famiglie, cioè, grazie alla fornitura di questi ausili consentiamo loro di diventare autonome senza dovere investire ulteriori fondi al fine che il parente disabile possa svolgere queste tipologie di attività. Nel caso il disabile non abbia delle persone al proprio fianco oppure necessiti di un’assistenza continua di ventiquattro ore su ventiquattro, noi proponiamo un servizio di ‘sollievo’ che consiste nel prendere in carico quest’ultimo per alcune ore e affidarlo alla competenza sciistica di volontari, fra i quali anche i membri del Nucleo dell’Associazione Carabinieri della Val Rendena, che a turno si mettono a disposizione ad accompagnare il disabile sulla pista da sci. Regaliamo così qualche ora di sollievo alla famiglia, occupandoci noi della persona, facendolo divertire e consentendo ai parenti di poter usufruire di quel tempo libero necessario per ritrovare quella forza necessaria per prendersi ancor meglio cura del proprio famigliare“.
L’associazione opera lungo tutto l’arco alpino?
“Non ci siamo mai posti dei limiti, noi andiamo tendenzialmente dove ci chiamano. Banalmente abbiamo avuto delle richieste da Cervinia così come a Pinzolo o Bolbeno. Ovviamente operiamo sulle nostre Orobie, in particolare in Presolana, al Monte Pora, a Foppolo e agli Spiazzi di Gromo, ma anche in Valmalenco, Val Gerola e all’Aprica. Nulla toglie che si possa partire con la nostra attrezzatura e raggiungiamo le località che ci chiedono perché questo progetto è gratuito, essendo autofinanziato dagli incontri che svolgiamo nelle scuole legati alla prevenzione sugli incidenti stradali e al piano di sport e disabilità che compiamo durante l’anno solare. Lì raccogliamo i fondi necessari per acquistare e mantenere l’attrezzatura, sia per coprire le spese di viaggio“.
In vista dell’inverno, quali sono i progetti che avete intenzione di metter in campo?
“Innanzitutto iniziare a svolgere la nostra attività in pista sia a Bolbeno che a Pinzolo. Andremo poi ospiti a Folgaria dove c’è una solida realtà come ‘Scie di passione’, una scuola sci per la quale ho già collaborato per due stagioni e dove l’attenzione al disabile è particolarmente elevata come a Chiesa Valmalenco, dove è presente la nostra scuola sci Enjoyski School. Questo progetto è stato sviluppato anni fa da loro ee essendo una idea virtuosa, abbiamo deciso di replicarla“.
Le difficoltà causate dalla crisi energetica e dai cambiamenti climatici possono rischiare in un futuro prossimo di rallentare la vostra attività?
“Senza fare previsioni, sicuramente il cambiamento arriverà, magari lentamente, ma arriverà. Se si continuerà su questa falsariga, per salvare l’intero indotto saremo costretti ad adattarci a un’altra tipologia di sci. Io credo particolarmente nella natura, però conto su una vera e propria virata nelle azioni degli esseri umani. Come associazione abbiamo iniziato a puntare anche sullo sci su campi di plastica svolgendo la nostra attività negli anni scorsi anche presso le piste a Selvino e al Polaresco. Nonostante l’azione sia leggermente diversa, l’attrezzo e gli impianti di risalita sono i medesimi. Si dice che sopravvive chi sa adattarsi prima al cambiamento come sostiene la legge dell’evoluzione di Darwin, per cui resto dell’idea che bisognerà adattarsi il prima possibile per evitare di perdere tutto l’indotto sportivo e turistico che lo sci produce“.
Nel 2005 un incidente stradale ha rischiato di cancellare ogni suo sogno, tuttavia con passione e determinazione è riuscito a diventare il primo maestro di sci disabile nel nostro Paese. Questo traguardo è stato uno stimolo per potersi riprendere dopo l’incidente?
“È stato motivante e determinante, anche se non è stato l’unico stimolo perché è stato fondamentale avere al mio fianco mia moglie Claudia e i miei familiari. Nonostante ciò il ricollocarmi sia a livello professionale che sociale è stato decisivo e mi ha fatto ragionare, soprattutto iniziare a pensare cosa ancora potessi fare nonostante quanto fosse accaduto. La straordinarietà di questa rinascita è che da normodotato io non avrei mai potuto avere né le disponibilità economiche né i requisiti tecnico-sciistici per diventare maestro perché avrei avuto bisogno di numerose ore di istruzione. Da disabile ho sviluppato invece questa abilità ed è stato sì più impegnativo da un punto di vista fisico, visto che ho dovuto sviluppare una tecnica di approccio al disabile più profonda e specifica, però è stato più determinante per dare un senso alla mia vita e per mettermi a disposizione di altri nella mia situazione“.
Durante il corso per diventare maestro di sci, quali difficoltà ha incontrato per conseguire il brevetto?
“La cosa più difficile è stata spiegare, una volta finito il corso che non volevo occuparmi di normodotati, perché nella progressione didattica un disabile che utilizza monosci e dualski non potrà mai applicare la posizione ‘spazzaneve’. Quest’ultima è inapplicabile perché sotto di noi abbiamo o uno sci soltanto oppure due sci paralleli fra loro, quindi non si possono avvicinare le due punte. È stato complesso spiegare a tutto il mondo dei maestri di sci che io non volevo rubare il lavoro a loro, ma dare l’opportunità a tutti quei disabili a cui piace sciare di trovare un collocamento anche nel mondo del lavoro. Lì si è scatenato un vespaio, siamo arrivati prima in Regione Lombardia dove Lara Magoni è riuscita a fare approvare all’unanimità questo progetto, tuttavia si è fermato tutto lì perché il Parlamento non ha voluto riconoscere questa figura perché andrebbe cambiata una legge quadro nella quale andrebbe creata questa nuova figura, quella del maestro di monosci. Anche nel mondo della disabilità ho incontrato numerosi attriti perché coloro che già esercitavano da tempo lo sci per disabili hanno pensato che io volessi insegnare loro come sciare. Il mio obiettivo non è quello, perché l’idea è insegnare ai principianti a poter diventare autonomi, se poi vogliono diventare degli agonisti oppure dei maestri, dovranno appoggiarsi su altre figure come allenatori e istruttori. Per riconoscere ufficialmente in Italia la mia figura avrei infine dovuto affrontare una specie di ‘eurotest’, una gara parametrata da parte di un agonista che segna un tempo da non superare. Come spesso spiego, il maestro non è colui che fa gare, piuttosto chi insegna a sciare a più persone possibili in modo empatico. Se l’alunno vuol diventare un agonista, può poi pensare di perfezionarsi. Questo è quanto mi piacerebbe fare, ma va scardinata l’idea di ‘maestro di sci’ e riconoscere finalmente l’idea di ‘maestro di monosci‘”.
Nel corso degli anni la sua storia ha ispirato diverse persone a intraprendere l’attività sportiva. Qual è l’attuale numero di praticanti nella nostra provincia e come si potrebbe ampliare ulteriormente la platea?
“Quando portiamo nelle scuole queste testimonianze puntiamo innanzitutto sul tema della sensibilizzazione della sicurezza stradale e sul significato di essere disabile e praticare sport, fondamentalmente per due passaggi. Innanzitutto per spiegare alle persone come le regole servano per coesistere con gli altri e quindi vanno rispettate in qualsiasi ambiente per poi sottolineare come, nonostante i regolamenti è successo qualcosa di grave che ha condizionato la propria esistenza, c’è sempre una via di uscita finché si è vivi. Quest’ultima può essere rappresentata da una passione come quella per lo sport che può aprire la strada per una rinascita. Quando andiamo nelle scuole capita di incontrare delle classi con alunni disabili e a loro proponiamo una giornata in pista con noi dove mostrare ai compagni come l’handicap sia presente, ma come sulla neve l’impatto dello stesso si riduca, come possa essere aiutato dagli altri ragazzi e come ci possano essere aspettative positive in vista del futuro“.
L’arrivo sulle montagne lombarde delle Paralimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026 potrebbe rappresentare un volano per l’attività paralimpica sulla neve?
“Sicuramente sarà una bellissima vetrina e darà la possibilità a molti disabili di essere presenti perché la FISIP ha avviato dei progetti di avvicinamento agli sport invernali per ragazzi dai 6 ai 25 anni. La nota dolente è che questi campus siano stati creati soltanto ora, troppo a ridosso delle Paralimpiadi visto che un atleta non si forma in soli quattro anni. Nulla toglie che rimane una bellissima iniziativa, spero che qualcuno dei nostri ragazzi abbia in futuro tempo, voglia e soldi per poter avvicinarsi e praticare questa attività. Per utilizzare in autonomia un attrezzo come il monosci ci vuole infatti almeno una stagione, per poterne usufruire correttamente a velocità che superano i 90 chilometri orari fra i pali serve tempo, lungimiranza e moltissime ore di sci in pista. Questo mi fa pensare che non riusciremo ad avere un numero elevato di atleti ai blocchi di partenza di Milano-Cortina 2026 perché attualmente, nello sci alpino, abbiamo René De Silvestro, in grado di fare incetta di podi alle ultime Paralimpiadi nel sitting, Giacomo Bertagnolli e Andrea Ravelli che hanno ottenuto molte medaglie nel visually impaired e Davide Bendotti nello standing, ma non c’è nessun altro dietro di loro. Le percentuali di successo sono quindi ridotte e va lavorato sul vivaio giovanile, andando nelle scuole come facciamo noi, proponendo delle attività, iniziando dalla scuola dell’infanzia e proponendo un sostegno economico al fine di evitare di caricare le famiglie di una spesa iniziale che va dai 3.000 ai 7.000 euro necessari per acquistare soltanto l’attrezzatura“.
A livello infrastrutturale, qual è la situazione della montagna bergamasca? Esistono impianti in cui si possa svolgere attività paralimpica oppure è necessario realizzarne di nuovi?
“Monte Pora, Presolana, Chiesa Valmalenco Spiazzi di Gromo, Tonale e Foppolo sono già dotati perché lì abbiamo già lavorato, abbiamo portato le nostre competenze e lì andiamo a sciare. Non è facile continuare perché la priorità non è il disabile visto che a livello di mercato non è molto appetibile questo settore, ma deve essere il disabile a continuare a rimarcare la propria presenza sul territorio, facendo capire che è una risorsa e un investimento. Chiaramente non tutti gli impianti sono adatti, perché qualcuno di questi vecchi e inaccessibili per chi utilizza un monosci, inoltre, per avviarci, come tutti i principianti abbiamo bisogno di piste facili avendo una posizione da seduti e quindi un’aereodinamicità performante, di conseguenza un’accelerazione maggiore, una visibilità ridotta nei cambi di pendio e, utilizzando esclusivamente le braccia, una fatica maggiore vista la normale dimensione ridotta della muscolatura degli arti superiori rispetto a quella degli arti inferiori“.
In conclusione, in vista del futuro Mauro Bernardi ha ancora qualche sogno nel cassetto da poter realizzare?
“Mi piacerebbe che più località possano accogliere i disabili senza dover diventare dei centri di riabilitazione. Paradossalmente ho in mente un luogo dove, con Neveplast, possa creare un centro di avviamento allo sci per disabili trecentosessantacinque giorni l’anno sfruttando così le condizioni ideali“.