Carlos Bernardes è diventata nelle ultime stagioni una figura simbolo del tennis mondiale. In oltre quarant’anni di carriera l’arbitro brasiliano ha guidato i più importanti tornei accompagnando di fatto l’epopea di fenomeni come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic.
Ora che si fa avanti la nuova generazione guidata da Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, Bernardes ha dovuto scendere dalla sedia e chiudere la propria esperienza internazionale, tuttavia il giudice brasiliano può seguirli comodamente dalla casa di Gorle dove si è trasferito con Francesca Di Massimo, giudice di linea sposata nel 2021.
Come si trova ora che è in pensione dopo una carriera così lunga?
Mi trovo benissimo, perché il problema non era il lavoro in sé, ma il tempo che trascorrevo in viaggio. Se si guarda il calendario, trascorrevo tendenzialmente dalle 25 alle 35 settimane fuori casa, insomma, ho passato un terzo della vita viaggiando. Stare a casa ora per me è una cosa fantastica.
Com’è nata l’idea di diventare un arbitro di tennis?
Quando io ero maestro di tennis a São Caetano do Sul, a San Paolo, hanno organizzato un torneo particolarmente importante. Era il 1984 e si è deciso di proporre un’edizione della Federation Cup. Era necessario trovare 120 giudici di linea così hanno fatto un annuncio sul giornale. Insieme al mio capo abbiamo aderito, anche perché era la prima volta che si svolgeva un torneo così grande in Brasile. Mi è piaciuto così tanto che ho iniziato a fare l’arbitro regolarmente, arrivando a esser impegnato quasi venti settimane l’anno visto che nel mio paese c’erano molti tornei. Alla fine è diventata una carriera vera e propria.
Quanto la tecnologia aiuta gli arbitri rispetto ai suoi inizi?
La tecnologia ha aiutato un sacco anche i giocatori, perché prima se c’era una discussione per una palla buona fuori o per una giocata che l’arbitro aveva chiamato in maniera errata, si poteva cambiare la direzione di una partita e farla vincere a un giocatore e perderla a un altro. Non dico che l’arbitro avesse sempre ragione, però non c’era altro metro di giudizio. Adesso con la tecnologia queste discussioni non esistono più, anche per la macchina ti mostra la decisione finale. Per i giocatori è un problema in meno e anche per l’arbitro.
Ci sono stati giocatori con cui ha avuto momenti difficili?
Non ho avuto rapporti complicati, ma situazioni difficili da gestire in campo. Credo che erano più discussioni riguardanti una regola o un procedimento, ma non è una questione personale. In tutti gli sport è così: uno pensa che è sbagliato, l’altro che è corretto, ma non si tratta di una discussione personale.
C’è stato qualche tennista a cui è rimasto più legato oltre il campo?
Legami di questo genere non esistono, ma mi piace che, dopo tanto tempo, possa incontrare giocatori e parlare con loro. Quando ho avuto quel problema al cuore in Australia, un sacco di tennisti che non vedevo da 10/15 anni mi hanno scritto e telefonato. Tutto ciò è stato molto bello perché, dopo tanti anni, significa che vogliono mantenere questa tipologia di rapporto. Però non esiste un giocatore con cui ho avuto un rapporto più importante di altri.
Lei ha arbitrato il primo incontro tra Nadal e Federer. Come si è sentito a crescere e chiudere la carriera con loro?
E’ stato molto bello perché, non solo ero presente al loro primo incontro a Miami, ma anche alla prima partita di Nadal come professionista nell’ATP Tour. Si giocava a Maiorca e aveva solo sedici anni. Tutto questo ha portato alla nascita di una rivalità che mi ha portato a seguire partite di questo genere che hanno creato un periodo piacevole per il tennis.
Jannik Sinner e Carlos Alcaraz possono creare una rivalità simile?
Sì, credo che possano far rivivere una rivalità del genere, però non so se sarà simile a quella fra Rafa e Roger o fra Rafa e Novak Djokovic o Roger e Novak. Sono tre giocatori che sono rimasti al top per quasi vent’anni, io non so se oggi ci sarà un gruppo di tennisti o uno specifico che rimanga al top per un periodo così lungo. Non penso tanto per Sinner o Alcaraz nello specifico, ma credo che sarà alquanto complicato trovare un altro giocatore che possa vincere quanto conquistato da Nadal, Federer o Djokovic.
C’è un aneddoto che le è rimasto più impresso nella sua memoria?
Sì e riguarda un torneo in Brasile. In semifinale un giocatore non aveva nessuno con cui fare il riscaldamento, così ha chiesto aiuto al supervisore e gli ha dato il mio nome. L’ho seguito prima della partita e lui ha vinto. In finale la situazione si è ripetuta ed ecco che il giocatore ha chiesto se potessi fare nuovamente da sparring partner. Il supervisore ha dato l’ok, anche se il problema era che io ero stato designato come arbitro della finale. Una cosa del genere oggi sarebbe impossibile da fare, però è stato divertente vedere un arbitro che svolgeva il riscaldamento con uno dei giocatori che avrebbe dovuto arbitrare.