Mons. Carlo Mazza, l’«atleta» che ha partecipato a sette Olimpiadi

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Mons. Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza, è l’atleta (spirituale) che ha fatto più Olimpiadi al mondo. 1988: Seoul; 1992: Barcellona; 1996: Atlanta; 2000: Sidney; 2002: Salt Lake City (invernali); 2004: Atene; 2006: Torino (invernali).

Il card. Camillo Ruini, nel 1988, lo mette a capo del neonato Ufficio nazionale della CEI per la pastorale del tempo libero, turismo e sport. I dirigenti del Coni, al tempo il presidente Arrigo Gattai e il segretario generale Mario Pescante inseriscono la figura di assistente spirituale nelle spedizioni sportive internazionali, quando l’Italia partecipa a manifestazioni come le Olimpiadi (estive e invernali) e ai Giochi del Mediterraneo. E, nel 1990, anche ai Mondiali di calcio organizzati in Italia, a Roma.

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Incontriamo mons. Carlo Mazza nella sua casa di Entratico, dove, da qualche anno ormai in quiescenza, si è ritirato.

Mons. Mazza com’è stato possibile che tutto questo accadesse?
È frutto del genio italiano. I nostri dirigenti, sapendo che il CIO non permette di allestire nei villaggi olimpici un luogo con una sola matrice religiosa, si sono inventati di darmi il titolo di Official aggregandomi alle spedizioni italiane come dirigente sportivo dell’atletica leggera”.

Quindi lei ha partecipato, non come sacerdote con la tradizionale veste talare, ma come un qualunque preparatore sportivo…
Sì. È così. Portavo la divisa dell’Italia, con l’accortezza di indossare la classica camicia grigia che portano i sacerdoti. Abbigliamento che passava inosservato ai più, ma che era riconoscibile per i nostri atleti italiani”.

Lei ha vissuto nel villaggio olimpico insieme a tutti gli atleti dell’Italia delle diverse discipline. Come si svolgeva la sua giornata-tipo?
Sì, avevo una mia cameretta nel comparto degli Azzurri al villaggio olimpico. Quando sono andato per la prima volta, a Seul, mi sono chiesto. Cosa posso fare? Cosa dico? E ho pensato di applicare un mio piccolo decalogo a partire dall’idea di fare un oratorio. Mi sono imposto di non andare negli appartamenti degli atleti, di non andare allo stadio a vedere le gare (quelle le seguivo dal televisore al villaggio) e di stare sempre in piazza. Se qualcuno voleva, mi poteva incontrare nello spazio comune. Là mi potevano trovare facilmente”.

Dopo cinque Olimpiadi più due invernali si sarà fatto anche una cultura sportiva.
Per me le Olimpiadi sono state l’Università dello sport. Nel corso della mia esperienza ho incontrato atleti di ogni tipo di disciplina e persone umanamente preparate prima ancora che atleti forti”.

E con la Messa (che i preti devono dire ogni giorno) come se la cavava? Dove la celebrava?
Avevo chiesto il permesso di poterla celebrare nella hall dei palazzi dove stavamo come Italia. E qualcuno, sapendo l’orario, se era libero veniva ad assistere. Anche solo una volta alla settimana. A Sidney, nel 2000, era capitato che durante la manifestazione era morta la moglie del presidente del CIO Juan Antonio Samaranch. I dirigenti spagnoli mi chiesero se potevo celebrare una Messa in ricordo della moglie lì al villaggio. Fu per me motivo di grande riconoscimento. Da allora gli spagnoli mandavano i loro atleti a sentir Messa da me”.

Chissà quanti segreti avrà carpito incontrando così tanti atleti e di così tante e disparate discipline. Ci può raccontare qualcosa?
Ho raccolto tante confidenze, alcune sono di livello confessionale e me le porto nel segreto del prete. Posso raccontare di un pugile che volle venire da me per confessarsi. Chiesi perché? La risposta fu: perché domani vado a combattere e voglio essere pulito dentro e fuori. Con altri, come per esempio, il nuotatore Massimiliano Rosolino, avevamo preso l’abitudine di berci il caffè ogni mattina alle 6”.

Qual è il posto più bello del villaggio olimpico che può indicare come quello dello scambio reciproco tra i diversi atleti?
Di sicuro la mensa. È aperta 24 ore al giorno e dispone di ogni cibo delle culture dei diversi Paesi. L’Italia ha un suo stand dove porta pasta, parmigiano reggiano e prosciutto crudo. Non appena gli atleti degli altri Paesi scoprono questo angolo, dopo poco viene preso letteralmente d’assalto. Ma la mensa è il posto in cui tutti incontrano tutti e lì nascono delle belle amicizie”.

Lei recentemente ha fatto una sorpresa a Yuri Chechi al Festival dello sport che c’è stato nei paesi dell’Isola bergamasca. È un’amicizia che dura nel tempo.
Quella di Yuri Chechi è una storia curiosa. Lui che di cattolico aveva ben poco, venendo da una cultura piuttosto laica, è divenuto uno fra gli atleti a cui sono rimasto più legato. Un altro atleta cui sono rimasto molto legato è Giovanni Pellielo, il campione del tiro al piattello”.

OlimpiadiIniziano le Olimpiadi di Parigi 2024. Cosa prova? Ci andrà?
Sono un tipo che quando cambia la situazione entro in una nuova dimensione e non porto dietro nostalgie. Quel che è stato è stato. Guardo sempre avanti al futuro. Ma in queste Olimpiadi di Parigi sarò presente (forse solo a distanza) perché il 7 agosto in casa Italia verrà presentato un volumetto che ho voluto far scrivere personalmente. Il libro è stato scritto da Angela Teja e riguarda padre Henri Didon, il padre domenicano che nell’ultima decade del 1800 promosse lo sport moderno e fu l’ideatore del motto olimpico: Citius, Altius, Fortius (Più veloce, più alto, più forte) proposto poi da De Coubertin al congresso olimpico del 1894”.

Mons. Carlo Mazza è nato a Entratico il 7 gennaio 1942. Papa Benedetto XVI nel 2007 lo nominò Vescovo di Fidenza dove vi rimase fino al 2017. Oggi vive nella semplicità del suo villaggio natio, in un appartamento di un condominio. Lì si sente ancora il cappellano spirituale del villaggio olimpico e va dove lo chiamano.