Ivan Pelizzoli, professione portiere. Quando era giovane, oggi ricopre un ruolo dirigenziale di segretario dentro il settore giovanile dell’Atalanta.
Pelizzoli ha vissuto tutta la trafila delle giovanili a Zingonia, entrato a 11 anni, con esordio in prima squadra a meno di 20. E oggi, seppur con un ruolo diverso, vive e respira quotidianamente quello che è il settore giovanile dell’Atalanta delle meraviglie. Chi meglio di lui può raccontare com’è e com’è stato.
A farlo reagire con domande dirette, senza filtri di sorta, Stefano Serpellini, giornalista di razza, chiamato da Time Out Sport Festival a una serata proposta all’oratorio di Misano Gera d’Adda.
Questo il profilo di Ivan Pelizzoli portiere tracciato da Serpellini prima di iniziare il dialogo: dopo Pizzaballa e Casari (tanto per citare i grandi portieri dell’Atalanta), ci sta anche nominare Ivan Pelizzoli che in una classifica dell’IFFHS (La Federazione internazionale di storia e statistica) figura al quarantaquattresimo posto dei portieri del mondo dietro a gente come Buffon, Casillas, Cech, Kahn. Terzo portiere dopo Buffon e Toldo. Stiamo parlando del decennio 2001-2010.
La storia di Pelizzoli sembra uguale a tante altre, ma che rispetto al calcio di oggi fa un’enorme differenza, anche solo per il trattamento ricevuto.
L’ascesa, come a volte capita, è casuale. Chiamato in prima squadra come terzo portiere al tempo dell’Atalanta effervescente dei giovani di Giovanni Vavassori nel 2000, viene inserito nella rosa come terzo portiere, dietro a Fontana e a Pinato. Quell’anno succede che lui, classe 1980, a vent’anni si ritrova in prima squadra dalla prima giornata per via di un susseguirsi di infortuni che hanno colpito entrambi i portieri titolari. Fa il suo esordio e da lì non lo smuove più nessuno, anche dopo i recuperi dei due portieri titolari.
L’anno dopo, per motivi di cassa (Ruggeri doveva ripianare il bilancio) viene venduto alla Roma di Totti e Cassano, la Roma neoscudettata di Fabio Capello. Arriva come secondo di Antonioli, ma riesce a ritagliarsi un ruolo che lo porta anche alla convocazione in Nazionale. Nell’anno 2003-2004 diventa “Saracinesca d’Oro”, ovvero il portiere meno battuto di tutti i campionati d’Europa.
E poi iniziano i guai. Gli infortuni. “Sono stati gli infortuni a determinare la mia carriera – dice Pelizzoli -. Quello che sembrava un lieve infortunio è diventato un infortunio di sei mesi. Poi la spalla. Da lì è iniziato un po’ il declino”, che ha impedito a Pelizzoli una carriera fulgida e continua.
Passa alla Reggina alla corte di Mazzarri e anche lì subisce un infortunio pesante. E nel 2007 si trasferisce a Mosca, al Lokomotiv. “Sono arrivato a gennaio che c’erano -24 gradi. Per contratto dovevo parlare solo il russo, che ho imparato nello spogliatoio con i compagni. Non mi sono trovato benissimo, anche se la città è bellissima”, racconta Pelizzoli.
Al tempo il cartellino era di esclusiva proprietà della società che decideva il da farsi. Una volta esonerato il direttore sportivo che l’aveva voluto a Mosca, di fatto da un giorno all’altro si è trovato fuori rosa e mobbizzato costretto a due allenamenti al giorno in condizioni estrem. Avrebbe avuto richieste da società come il Bologna e invece finisce in prestito all’AlbinoLeffe in Serie B. La società seriana non lo riscatta e lui rimane legato al Lokomotiv. Da lì in poi è solo uno spegnersi di carriera tra infortuni e mediocrità, fino alla conclusione della carriera che arriva nel 2017.
E se oggi Ivan Pelizzoli ricopre il ruolo di Responsabile dell’organizzazione del settore giovanile lo deve a Damiano Tommasi, conosciuto quando giocava alla Roma. “Tommasi è stato il giocatore con le doti umane più sensibili tra tutti i giocatori conosciuti e incontrati. È grazie a lui se oggi faccio questo mestiere, perché è lui – incontrato un po’ di tempo fa dopo che avevamo terminato la carriera di calciatore – a indicarmi di frequentare un corso che mi sarebbe potuto tornare utile. E oggi eccomi qua”.
Serpellini, di fede romanista, stuzzica Pelizzoli su quanto succedeva negli spogliatoi giallorossi tra giocatori e allenatore. Ma Pelizzoli, pur conoscendo molte cose, le tiene per sé. È un po’ la regola dei giocatori. Quello che succede nello spogliatoio rimane nello spogliatoio. Però racconta che “Totti e Cassano non si allenavano mai. Che Capello non dava mai indicazioni o non faceva lezioni di tecnica. Metteva i giocatori dove pensava potessero rendere di più”.
E allora, cos’è che fa grande un giocatore? La tecnica o il talento. “Senza il talento non vai da nessuna parte”, sostiene Pelizzoli. Poi a Zingonia “si prendono cura dei giovani dall’inizio alla fine e curano ogni dettaglio: dalla preparazione fisica, all’alimentazione, dallo studio al comportamento morale”.
L’insegnamento che si porta dietro Pelizzoli gli è dato da un maestro come Favini: “Lui aveva già visto i pericoli che oggi incombono sul settore giovanile delle squadre di calcio. E ci diceva: Divertiti, stai con pieri per terra e tieniti lontano dai procuratori”.
Cosa significa per un giovane di Bergamo giocare per l’Atalanta, la squadra della tua città? “È un sogno. Quando sono dovuto andare a Roma è stato difficile. A Mosca lo è stato ancor di più. Ma giocare per la squadra della tua città è impagabile”.
Come è cambiato il ruolo del portiere in questi anni? “Oggi il portiere è chiamato a impostare l’azione. È una sorta di centrocampista basso, che deve essere bravo con i piedi non solo per i rilanci, ma che deve sapere far partire l’azione dal basso”.
E chi è stato il miglior portiere italiano: “Buffon”. E oggi? “Senza dubbio Carnesecchi. Il ragazzo che ho visto crescere a Zingonia ha delle doti che pochi anno”.