In un’epoca in cui ci si affida all’intelligenza artificiale con ChatGPT o a Wikipedia o a ricerche su Google per cercare in tempi record quello che si vuole sapere, incontrare Marino Bartoletti ci si convince che, alla fine, ciò che fa Cultura è quanto uno si porta dentro la propria memoria e ne dà testimonianza.
Questa è la lezione che se ne ricava dall’incontro organizzato da Time Out Festival Sport nel cortile del Castello Colleoni di Solza, in una di quelle belle sere di maggio.
Il sindaco di Solza, Simone Biffi, nel fare gli onori di casa, lancia a Bartoletti alcuni input. “Parlare di sport – traduce – significa parlare di Storia, di Società e di Passione”. A cui aggiungerei – rafforza Brtoletti – anche Cultura e Integrazione”. La serata si preannuncia pregna di contenuti.
Marino Bartoletti, classe 1949, è diventato “la” voce dello sport per gli italiani. Nella sua lunghissima carriera (che tuttora continua) di giornalista sportivo ha potuto vivere, seguire e raccontare qualcosa come 10 Olimpiadi e 10 Campionati del Mondo di calcio. Ha girato in lungo e in largo incontrando moltissimi sportivi e intrecciando alcune relazioni personalissime con campioni del calibro di Gaetano Scirea, Paolo Rossi e Maradona.
La Cultura dentro la voce sport è un concetto che fino agli anni Sessanta era un concetto poco assimilabile finché non arrivò sulla scena di quel mondo giornalistico Gianni Brera, il maestro che tracciò la via dalla quale non ci fu più ritorno. “Se volevi intraprendere quella strada – dice Bartoletti – era un passaggio obbligato. E io – giovanissimo – fui chiamato a Milano e l’ho potuto incontrare nella sede del prestigioso Guerin Sportivo”.
Bartoletti intreccia i suoi racconti sportivi con la storia d’Italia. Bartoletti è il testimone della ricostruzione italiana del dopoguerra, del boom economico degli Anni Sessanta, partito da Forlì con una valigia carica di aspettative, sogni e speranze non si è più fermato. E oltre alla sua passione per lo sport, nata guardando le Olimpiadi di Roma del 1960, incantato com’era dalla scena dell’arrivo vincente del maratoneta etiope Abele Bikila a piedi scalzi, dalle bellezze architettoniche dove furono incastonate alcune discipline svolte nei luoghi più iconici della Roma antica e dalla capacità creativa e geniale degli italiani di allora che proposero e risolsero anche molti problemi del tempo, come inventare per i seimila atleti arrivati da tutto il mondo un villaggio olimpico, per poi diventare le case della classe impiegatizia pubblica.
La sua memoria si fa narrazione vivida, come se l’accadimento di cui racconta fosse di ieri. Il giornalista va sicuro, come scrivesse su fogli bianchi un pezzo senza errori, mai una pausa fuori posto, si capisce che i suoi libri sono frutto di tanto lavoro e tanto studio, che li potrebbe rimandare a memoria pagina per pagina.
Bartoletti, oltre alla passione per lo sport, di passione ne ha un’altra grande e lunga quanto la prima: la storia della canzone italiana espressa attraverso i Festival di Sanremo, di cui si è occupato, oltre che come cronista, anche come giudice di qualità e selezionatore di canzoni.
E dalla prima televisione acquistata da mamma Maria, sarta, che doveva ispirarsi dai vestiti indossati dalle Nilla Pizzi di turno, per poi proporle alle donne di Forlì, Bartoletti si impregna della canzone di Domenico Modugno, che nel 1959 diventa la canzone dell’anno: “Volare”.
L’attacco di quella canzone se lo mette in valigia e lo fa diventare il motto adatto alla sua vita e in modo autobiografico, ora da ultrasettantenne, dice: “Penso che un sogno così non ritorni mai più”. E lo dice dopo aver vissuto una vita piena in tutti i sensi, umana e professionale.
L’incontro con Berlusconi lo porta a fondare una trasmissione sportiva sulle reti Fininvest, con taglio particolarissimo. Nasce “Pressing”, poi lasciato in eredità a Raimondo Vianello.
Dirige il Guerin Sportivo che lo aveva fatto crescere come giornalista. Scrive numerosi libri. Ma di tutta questa sua personale storia cita due amicizie particolari: Lucio Dalla e Armando Maradona.
Visto che siamo nei giorni dell’anniversario della tragedia occorsa allo stadio dell’Heysel nel 1985 durante la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool dove persero la vita 39 persone, Emanuele Roncalli, direttore artistico di Time Out, chiede al suo ospite che ne fu testimone diretto come andarono le cose.
“Non mi riesce di parlare frequentemente e serenamente di questo fatto a cui ho assistito personalmente – dice -. Ma già dal mattino si era capito che qualcosa poteva succedere per l’incapacità della polizia belga di gestire le tensioni che si andavano creando. A questo aggiungiamo uno stadio vecchio e non adatto a ospitare un evento del genere. Poi la tragedia è tutta racchiusa nell’epilogo nelle parole dell’avvocato Gianni Agnelli che disse: Quando in bacheca guarderò questa Coppa, mi ricorderò di quel bambino tredicenne il cui papà gli ha chiuso gli occhi per l’ultima volta”.
E per rasserenare gli animi della serata, dopo questo cupo e triste ricordo, Bartoletti chiude con i tre colori che hanno dipinto la sua vita professionale: l’Azzurro dell’Italia calcistica e olimpica; il rosa della maglia dei campioni del Giro d’Italia e il rosso delle Ferrari e delle Ducati.
E ora, se volete, andate a leggervi i suoi libri: “La partita degli Dei”, “La discesa degli Dei”, “Il ritorno degli Dei”, “Così ho vaccinato Facebook”, “La cena degli Dei”, “Bar Toletti – Così ho cambiato Facebook”, “La squadra dei sogni – La coppa dell’amicizia”, “La squadra dei sogni – Tutti in campo”, “Bar Toletti – Così ho sedotto Facebook”, “La squadra dei sogni – Il cuore sul prato”, “Bar Toletti – Così ho digerito Facebook”, “Bar Toletti – Così ho sfidato Facebook”, “Chi ha rubato la Coppa Rimet? E altri 999 quiz sui mondiali”, “Il festival degli Dei”, “L’Almanacco del Festival di Sanremo”. E a breve uscirà un libro sull’unico concerto dei Beatles tenutosi in Italia.