La pubblicità è ormai parte integrante e ossatura portante dello sport, di cui è sostegno fondamentale. A realizzare il binomio tra manifestazione agonistica e sponsor è stato soprattutto il ciclismo, a cominciare dalle grandi corse a tappe: prima il Tour de France (1903) e poi il Giro d’Italia (1909). I marchi delle fabbriche campeggiavano sulle maglie dei grandi campioni del pedale. Dalla bicicletta alle auto da corsa il passo fu breve. Pure la cornice degli ippodromi consentiva di rilanciare in modo elegante l’immagine pubblicitaria. E il calcio? “Diciamo che è arrivato più tardi, ovvero che si è attivato molto tempo dopo rispetto ad altre discipline – osserva Pierpaolo Marino, direttore generale dell’Atalanta, a margine della giornata dedicata agli sponsor del club bergamasco – Le persone di mezza età ricordano bene le imprese delle maggiori squadre di basket italiane, Ignis e Simmenthal, rispettivamente industria degli elettrodomestici e alimentare, il cui marchio era ben visibile sulle maglie dei quintetti. Il primo esempio di abbinamento del nome di un’azienda a quello di una squadra di calcio è datato 1953 ed era rappresentato dal Lanerossi Vicenza. L’anno dopo il Torino si legò a Talamone, poi nel 1959 ci furono l’Ozo Mantova, la Simmenthal Monza, il Sarom Ravenna. Ma in quello stesso anno la Federcalcio decise lo stop a ogni forma di abbinamento pubblicitario. Se ne sarebbe tornato a parlare oltre vent’anni dopo”.
Prima delle divise sono stati gli stadi a essere trasformati dalle nuove strategie pubblicitarie. Per la prima volta, nel 1957, al Comunale di Torino, per iniziativa del suo concessionario pubblicitario, Vasito Bastino, i cartelloni pubblicitari furono spostati ai bordi del campo, per renderli visibili al pubblico dei cine e telegiornali. Agli inizi degli anni ’70 l’industria del calcio valeva 200 miliardi e occupava la quindicesima posizione nella graduatoria italiana in termini di fatturato guidata da Fiat e Olivetti.
“Il fatturato delle società di calcio è cresciuto, ma l’esperienza insegna quanto importante sia la strategia commerciale e di marketing – osserva Pierpaolo Marino – Chi lega il proprio nome a una squadra di calcio sposa un progetto e ne è parte integrante. Emblematico il caso di una società di grandi tradizione come l’Atalanta, tra le cosiddetti provinciali quella che ha disputato il maggior numero di campionati di serie A. In un periodo di perdurante difficoltà economica, vede premiato il proprio lavoro dalla presenza e dal coinvolgimento di 55 sponsor che riflettono l’eccellenza e la capacità competitiva sul mercato italiano e internazionale”.
Insieme allo sponsor ufficiale Axa Assicurazioni e al secondo sponsor di maglia (Konica Minolta), l’Atalanta conta un co-sponsor (Creberg), quello tecnico (Errea) e uno legato al settore giovanile (Oriocenter). Si aggiungano quattro gold sponsor, nove silver sponsor, sette partner, venti supporter, un mobility partner, due fornitori tecnici, sei fan sponsor e un circuito radiofonico media partner.
“Cosa insegna l’esperienza dell’Atalanta? Che quando si lavora bene e si propone un progetto condiviso, gli sponsor rispondono in modo convinto”- chiosa Marino.