Il dolore della famiglia di Yara Gambirasio, la 13enne ginnasta uccisa il 26 novembre 2010, è solo lontanamente immaginabile. La giovanissima farfalla che sognava di diventare campionessa di ritmica ha visto le sue ali tarpate da un assassino rimasto ignoto fino al 16 giugno 2014. Ora il profilo del Dna ritrovato sui resti della piccola Yara ha una identità anagrafica. Il presunto carnefice ha un nome, Massimo Giuseppe Bossetti, un’età, 44 anni, un lavoro, quello di muratore, e uno stato di famiglia che lo renderebbe insospettabile, con moglie e tre figli. Il presunto assassino di Yara Gambirasio, incastrato dal Dna perfettamente coincidente con quello di “Ignoto 1”, il cui profilo discende da quello del padre naturale del responsabile, l’autista Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, è rimasto sotto interrogatorio nella caserma del Comando provinciale dei Carabinieri di Bergamo, dove è stata trasportata anche la sua auto, una Volvo, su cui i reparti scientifici vorranno eseguire rilievi e accertamenti. Al termine dell’interrogatorio, Bossettii, che si è avvalso della facoltà di non rispondere, è stato trasferito in carcere tra gli insulti e l’indignazione della gente che hanno accompagnato l’uscita dalla caserma.
La notizia del fermo è stata annunciata dal ministro dell’interno Alfano ed è arrivata a Brembate Sopra, dove la famiglia Gambirasio è stata informata telefonicamente da Letizia Ruggeri, magistrato che ha condotto le indagini. A nome della comunità ha parlato il sindaco che ha espresso il sentimento di attesa e il bisogno di garantire giustizia alla piccola Yara.
Tutto è iniziato il 26 novembre 2010, quando Yara Gambirasio, 13enne ginnasta, scomparve nel buio della sera lungo la strada che separa la palestra da casa a Brembate Sopra. Il fermo di un marocchino, rilevatosi poi estraneo ai fatti, operaio in un cantiere di Mapello, a pochi km dal comune di residenza della famiglia Gambirasio, dove il telefonino di Yara ha agganciato la cella telefonica, è stato il solo passaggio investigativo prima del ritrovamento del corpo, avvenuto esattamente tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. Una casualità, ovvero la caduta di un aeromodello, ha svelato la tragica fine della ragazzina, promessa della ginnastica ritmica. Da allora l’impegno assiduo degli investigatori e la strada del Dna rinvenuto sul corpo di Yara. L’incessante azione di forze dell’ordine e magistratura ha prodotto diciottomila profili genetici, a caccia dell’individuo risultato figlio illegittimo dell’autista di Gorno. Ora si è arrivati a Bossetti, che ha una sorella gemella. La madre ottantenne abita a Clusone, in Valle Seriana, Massimo Giuseppe Bossetti a Mapello, lo stesso comune dove era arrivato il fiuto dei cani molecolari. C’è una famiglia che con grande dignità ha affrontato in tre anni e mezzo la devastante esperienza della perdita di una figlia, trovando nella fede la forza per andare avanti e attendere con fiducia e speranza lo sbocco dell’interminabile inchiesta. E c’è un’altra famiglia che precipita nell’angoscia di avere un casa un presunto assassino. Un epilogo che non deve fare dimenticare il dramma vissuto da Yara e l’atto di giustizia che le è dovuto.