La Germania vince la Coppa del Mondo, piegando l’Argentina al Maracanà con un gol del 22enne Götze all’8’ del secondo tempo supplementare. Un successo decisamente meritato, il primo di una squadra europea in Sudamerica ma il primo del calcio tedesco da Paese unito. I precedenti titoli sono stati conquistati nel 1954 contro l’Ungheria di Puskas e contro ogni pronostico, nel 1974 in casa con il bomber Gerd Muller protagonista e nel 1990 a Roma proprio contro l’Argentina di Maradona con un penalty di Brehme. I tedeschi possono vantare quattro titoli come l’Italia, uno in meno del Brasile che nella finalina del giorno prima se n’è andato mestamente negli spogliatoi dopo aver subito tre reti e lasciato il bronzo all’Olanda. Nel gioco della Germania ci sono le qualità individuali, geometrie efficaci, corsa e potenza, capacità di inserimento, disciplina tattica. Quel che serve per trionfare. Impressiona il portiere Neuer, che arpiona ogni cosa anche fuori dai pali. Sugli scudi il difensore centrale Hummels, vera roccia, come pure Boateng che chiude e si rende utile in fase di impostazione. Instancabile nella zona centrale Schweinsteiger, onnipresente Ozil nella azioni d’attacco a sostegno di Müller e Klose. Il fato vuole che alla mezz’ora del primo tempo Kramer, sostituto di Kedhira, debba uscire e al suo posto entri Schürrle, che copre mirabilmente la fascia sinistra e mette al centro il cross decisivo che permette a Götze, subentrato a Klose prima del 90’, di controllare di petto e infilare con un preciso diagonale sinistro il portiere argentino Romero, a sua volta salvato dal palo nel secondo tempo su colpo di testa di Kroose. Al mondiale brasiliano vince la squadra più forte, meglio organizzata e con il gioco più concreto. Dopo aver impressionato nel girone di qualificazione e ribadito le proprie qualità negli scontri a eliminazione diretta, la Germania ha scritto una pagina storica infliggendo al Brasile la sconfitta più pesante di sempre, un 7-1 che molto hanno letto come prova di debolezza della Selecao e invece è stata anche e soprattutto straordinaria prova di forza e determinazione della squadra tedesca. Nella finale di Rio de Janeiro la Germania scende in campo senza Kedhira, infortunatosi in fase di riscaldamento, ma non rinuncia alla propria vocazione e comanda il gioco. L’Argentina punta sul contropiede, con un Lavezzi sempre pronto alle ripartenze e Higuain che, complice un inavveduto retropassaggio, spreca a tu per tu con il portiere Neuer al quale poi segna ma in netto fuorigioco. L’attesissimo Messi si vede solo a sprazzi nella seconda parte di primo tempo. Il grande sconfitto è proprio lui, la Pulce dal Pallone d’Oro che non emula Diego Armando Maradona e chiude il suo mondiale con una prestazione mediocre nel momento decisivo dopo aver trascinato l’Albiceleste verso la finale segnando quattro reti. Ci vuole ben altro per entrare nella leggenda. Bisognerebbe chiedere al ct Sabella perché abbia lasciato negli spogliatoi Lavezzi e si sia affidato all’opaco Aguero. Lo stesso Palacio, inserito al posto di Higuain, trovandosi di fronte a Neuer prova a superarlo con un pallonetto calibrato male e fuori misura. Episodi a parte, l’epilogo ci pare giusto e premia la squadra più continua, capace di esprimere i valori migliori. Una scuola che non tradisce, se è vero che nelle ultime quattro edizione ha centrato due volte la finale e due le semifinali. E’ il trionfo, altrettanto meritato, del tecnico Joachim Löw. Promosso anche l’arbitro Rizzoli, che controlla il match in ogni momento, ottimamente coadiuvato dai due assistenti.