Il gran signore del ciclismo se n’è andato a 93 anni. Alfredo Martini, commissario tecnico dal 1975 al 1997, lascia in eredità una vita di insegnamenti sapienti a cui il mondo delle due ruote potrà attingere per molte generazioni a venire. Il suo tempo, iniziato quando ventenne inforcò la bici da professionista nel 1941 per scendere dai pedali nel 1957, non è mai finito. Ha fatto vestire la maglia iridata a campioni del calibro di Moser, Saronni, Fondriest e Bugno, protagonista di due imprese consecutive nel 1991 e 1992. A questi successi pieni si aggiungano sette medaglie d’argento e sette di bronzo. Come dire che il ciclismo azzurro c’era sempre, anche se non sul gradino più alto del podio. La più grande virtù di Alfredo Martini era l’umiltà. Da ciclista ha sempre corso con impegno e onorato la maglia che indossava. Ha vinto una tappa al Giro d’Italia nel 1950, tagliando per primo il traguardo nella sua Firenze. In quella edizione giunse al terzo posto dietro Koblet e Bartali vestendo la maglia rosa per una tappa. Difficile cogliere grandi successi negli anni di Coppi, Bartali e Magni. Martini, fiorentino doc e toscano a 360 gradi, si è distinto per eleganza e garbo che lo hanno fatto amare da tutti indistintamente. Nel libro “La vita è una ruota” si è raccontato ammettendo che la bicicletta e il ciclismo gli abbiano dato più di quello che lui abbia dato loro. “Avrei voluto dare il doppio, ma bisogna saper accettare i propri limiti, con onestà” – recita nella sua biografia. Ha lasciato in eredità il ruolo di commissario tecnico a figure che hanno agito pensando a cosa avrebbe fatto lui al loro posto. Franco Ballerini, poi Paolo Bettini fino all’attuale ct Davide Cassani, che ha potuto condividere con Alfredo Martini la gioia del campionato mondiale disputato per la prima volta in Toscana. L’ultima soddisfazione regalata al grande testimone di una straordinaria epopea.