Federica Sorrentino
La pandemia ha fermato le attività agonistiche, ma non lo spirito degli atleti che, nel caso degli sport paralimpici, si sposa in modo particolare con l’impegno sociale. È il caso del 49enne pluricampione di paraciclismo Fabrizio Macchi. Una vita in salita, dopo l’amputazione all’età di 16 anni della gamba sinistra, che egli stesso ha trasformato in ascesa individuale e risultati serviti a indicare la strada a chi deve trovare il coraggio di affrontare la malattia. Quella scoperta a Fabrizio Macchi a soli 13 anni si chiama osteosarcoma e colpisce quasi sempre in tenera età. Il campione paralimpico è diventato ambassador dell’AISOS, l’associazione per lo studio e la cura di questo tumore osseo giovanile.
Raccontando la sua storia, personale e agonistica, lei ama dire: “ci sono momenti in cui la salita finisce”. Cosa occorre per riscattare uno handicap?
In realtà l’espressione corretta non è riscattare un handicap ma riprendersi in mano la vita. Un handicap è un limite fisico ma non lo è mentalmente. Quindi si può lavorare a far sì che i propri sogni vengano realizzati ugualmente. Si può riuscire sempre, basta volerlo.
La vittoria sulla malattia per lei ha significato un trauma fisico irreversibile. Qual è stato il momento in cui ha capito che lo sport avrebbe segnato il suo cammino di vita?
Non c’è stato un momento preciso in cui lo sport ha preso a essere la mia seconda vita. Ho sempre amato lo sport e cullato il sogno di diventare uno sportivo e, speravo, un campione. Chiaramente il periodo della malattia ha fatto sì che io dovessi parcheggiare questo mio sogno, ma poi ho utilizzato lo sport come riabilitazione. Anziché fisioterapia ho fatto tanta attività sportiva e lì ho capito che il mio fisico poteva riprendere a fare quello che io sognavo, cioè lo sport e l’atleta…Ho iniziato con l’atletica, poi ho fatto ciclismo, disciplina che ha consentito di realizzarmi. Da questo punto di vista lo sport è un grandissimo insegnamento di vita.
Lei è nato a Varese. Sentirebbe di prendere in prestito il motto della gente di Bergamo, “Mola mia”, per indicare la capacità di lottare non solo con il fisico ma anche con la mente?
“Mola mia” è un detto usato anche a Varese, non solo a Bergamo. Non mollare è davvero un punto di forza di ogni persona. Come detto, i limiti non sono nel fisico, semmai nella mente. Si può volere e potere, bisogna impegnarsi soprattutto in questo periodo in cui sembra tutto molto complicato.