Pier Carlo Capozzi
Cominciò alle 16 di mercoledì 17 giugno 1970, la “Partita del secolo” che, per via del fuso orario, era la nostra mezzanotte. All’ “Agnello d’Oro”, albergo di famiglia in Bergamo Alta, gli ospiti erano tutti a nanna e questo mi permise di vedere la partita nella camera dei miei genitori, l’unica ad avere un televisore. Fatti due conti, Karl Heinz Schnellinger entrò in scivolata, condannandoci ai supplementari, che mancava un quarto alle due. “Questo arbitro Yamasaki – esclamò stizzito Nando Martellini- due minuti dopo la fine del tempo regolamentare!”
Quanti rosari, non precisamente pregni di devozione, abbiamo recitato al terzino tedesco, dalle nostre parti appellato sbrigativamente Skellinger, in buona compagnia dei suoi compagni milanisti in maglia azzurra, senza sapere che quella spaccata ci avrebbe regalato la più fantasmagorica delle partite, tanto da essere ricordata allo stadio Azteca con una targa commemorativa. Il disappunto nei confronti del biondo era ampiamente giustificato dai numeri. E alla matematica, come si sa, è difficile dare torto. Orbene Karl Heinz, in 222 partite con i rossoneri, non segnò mai nemmeno una rete. Ci viene il sospetto che non abbia nemmeno mai tirato in porta. E quello di Città del Messico fu il suo unico gol in nazionale. Citando il dottor Pasquano, se “girarono i cabbasisi” una ragione c’era pure e giustificata assai. Tant’è che mio padre Pino, indispettito e presagendo un fosco finale, prese le schedine dei clienti, le chiavi del 1300 Fiat e si diresse in via Mario Bianco, all’epoca sede della Questura, per recapitarle. Perché anche questo ci toccava fare, giornalmente. Salvo risalire sgommando dacché nel frattempo c’eravamo portati sul 3 a 2. A Gianni Brera quella partita non piacque, ma a noi resterà per sempre nella memoria quel “Vinciamo” ripetuto da uno della Rai in cabina con Martellini. Aveva segnato Rivera, in un’azione in cui nessun crucco riuscì ad intercettare la palla. 4 a 3, sarà un sigillo, “la partita”. Mio padre volle strafare e ci caricò tutti sulla 1300, riscendendo in città bassa. I primi cortei c’erano già stati per la vittoria precedente (4-1) sul Messico, ma quella sera fu apoteosi. Ricordo un tizio con sombrero enorme su fiammante cabriolet e, tutt’intorno, sventolii e mortaretti. Bergamo s’era scoperta festaiola. La finale la vidi con mia madre in crociera, sull’Anna Costa. Fu l’ultimo viaggio con lei.