“Emozioni / Una vita che scivola via / L’inventario dei miei giorni migliori / Per un cuore senza ipocrisia”. Cantava Toto Cutugno in un suo celebre brano.
Quelle emozioni sono le stesse che, a distanza di cinquant’anni, si possono rivivere sulla pelle ripensando all’impresa di Felice Gimondi che il 2 settembre 1973 vinse il Mondiale di ciclismo.
Il rapporto fra il campione di Sedrina e la maglia iridata non è mai stato positivo, complice l’amaro bronzo di Leicester 1970 e l’ancor più bruciante argento colto a Mendrisio 1971 alle spalle dell’avversario di sempre Eddy Merckx.
In un totale paradosso comprensibile soltanto da chi ama lo sport, il fuoriclasse bergamasco era riuscito a vincere almeno una volta tutti e tre i Grandi Giri, ma mai a salire sul tetto del mondo.
E in quel settembre catalano infuocato dalle elevate temperature e dalla presenza di migliaia di spagnoli lungo le strade di Barcellona non sembra la volta buona per raggiungere questo traguardo.
Da una parte perché al via c’erano i due mattatori di quella stagione, il “Cannibale” Merckx, dominatore assoluto in primavera sino al Giro d’Italia deciso di fare propria quella maglia, è il padrone di casa Luis Ocana, il più forte nelle corse a tappe e vincitore del Tour de France; dall’altra per le polemiche rivolte verso il commissario tecnico Nino Defilippis, deciso a lasciare a casa Gianni Motta per puntare tutto sull’orobico.
Per Gimondi, reduce dalla piazza d’onore nella Corsa Rosa, non restava che sperare ancora una volta nel podio lottando sul circuito del Montjuic, adatto agli atleti di fondo e capaci di dare il meglio di sé in salita.
Tutto sembra però girare al meglio per l’azzurro a partire da una pietra che colpisce accidentalmente Merckx sul ginocchio sinistro e costringe il campione fiammingo a rincorrere mentre nel frattempo parte un attacco con lo spagnolo Antonio Martos e il portoghese Joaquim Agostinho, seguiti a ruota da Giancarlo Polidori pronto a far buona guardia per il proprio capitano.
Il Belgio deve far fatica, tirare e dopo due giri chiude, ma ad Eddy non sembra bastare così all’undicesima tornata prova a mettersi in proprio venendo seguito dal connazionale Freddy Maertes, dagli italiani Gimondi e Giovanni Battaglin, dagli iberici Ocana e Domingo Peruena e dall’olandese Joop Zoetemelk.
Merckx è una furia, vuole arrivare da solo e al quindicesimo giro prova ancora per due volte l’allungo, venendo stoppato da Ocana, Maertens e Gimondi che non sembrano volersi schiodare.
Il “Cannibale” deve quindi rassegnarsi allo sprint, ha speso molto, ma rimane comunque il favorito complice anche la supremazia numerica.
La tattica è la seguente: Maertens lancia la volata e Merckx affina con la sua potenza bruciante, ma entrambe non hanno fatto i conti con la fatica e con Gimondi.
Il capitano della Bianchi rimane sulle ruote, segue in vista del traguardo Maertens e lo brucia, mentre Merckx non riesce a rispondere all’assist offerto dal connazionale.
È l’apoteosi per Bergamo e per l’Italia intera che sente l’Inno di Mameli risuonare nel cielo di Barcellona; è la rivincita per Gimondi che vivrà probabilmente la vittoria più bella della carriera conservando per sempre le stesse emozioni che oggi ripercorriamo.