Un ragazzo semplice e speciale

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Il viso reso umido dalle lacrime lascerà presto posto agli occhi che volgeranno al cielo. Perché è lì che ha trovato dimora e pace Piermario Morosini. Il suo dramma umano sconvolge e lascia ammutoliti, ma il senso che questo ragazzo aveva dato alla sua vita, difficile e dolorosa, sembra riscattare d’un colpo il lato sacrilego dell’etica sportiva, da cui il calcio giocato è stato oscurato in questi mesi, e rendere minima l’immagine di certi personaggi più votati al lusso e ai riflettori che al sano impegno agonistico.

Piermario era ciò che ciascuno dovrebbe essere: serio e consapevole sul campo, persona semplice e legato agli affetti più autentici, mai dimentico delle proprie radici e dell’ambiente in cui era cresciuto. Non sorprenda il fatto che tornasse in oratorio, laddove aveva dato i primi calci, per trasformarsi in animatore e preferisse i lidi romagnoli in compagnia dei ragazzi dei centri ricreativi estivi. Encomiabile nella sua capacità di affrontare gravi problemi familiari e il dolore della perdita dei propri cari con animo coraggioso. Il senso dell’umiltà gli viene riconosciuto da tutti quelli che lo hanno conosciuto e ne hanno condiviso esperienze di calcio. Tecnici, allenatori, calciatori ne tracciano un profilo umano e professionale che coincide in ognuna delle testimonianze. Una cosa è certa: Piermario era ammantato di grande serenità d’animo e pieno di gioia di vivere, pronto a trasmettere questi sentimenti a chi gli era vicino. Ne hanno beneficiato non solo i compagni di squadra del Livorno, ma tutti quelli che dall’età giovanissima lo avevano incrociato con le diverse maglie vestite in carriera. Con la stessa fierezza questo ragazzone bergamasco dal sorriso contagioso passava dalla casacca azzurra dell’Under 21 a quella della squadra di provincia, sedendo in panchina senza mugugnare, facendosi trovare pronto all’abbisogna. In futuro, quando si insegneranno le regole del calcio, ci si ricordi di portare l’esempio di Morosini.

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Sarà importante, per non rendere vana la sua morte sul campo, raccogliere l’invito della medicina sportiva, vanto del nostro Paese, a sollecitare una cultura della prevenzione con controlli puntuali e rigorosi, a livello dilettantistico e giovanile così come avviene a livello professionistico, e diffondere la presenza di uno strumento fondamentale per il primo soccorso, qual è il defibrillatore, in tutti gli impianti sportivi e nelle scuole dove si svolge normalmente attività motoria. Non si tratta di fare allarmismo, ma essere capaci di affrontare una delle emergenze possibili, come l’arresto cardiaco, che richiede tempestività e capacità di intervento.