Edouard Boulanger, lo storico co-pilota del recordman Dakar Peterhansel (6 vittorie in moto e 8 in auto), sarà il nuovo navigatore di Nasser Al-Attiyah. Il qatariota, con cinque vittorie finali e altrettanti secondi posti nel più famoso dei rally, è un pilota altrettanto leggendario.
La collaborazione è stata ufficializzata pochi giorni fa e durerà per un minimo di tre anni. Insieme, Boulanger e Al-Attiyah correranno le cinque tappe del campionato W2RC e alcuni rally Baja.
I due si candidano a diventare l’equipaggio da battere nel Mondiale Rally-Raid. Dacia ha appena presentato il prototipo, che verrà sviluppato con il loro aiuto allo scopo di provare ad aggiudicarsi la Dakar. Il lavoro sull’auto comincerà ad aprile e l’esordio in gara del nuovo veicolo è previsto al rally del Marocco in ottobre.
Edouard ha una storia particolare lo abbiamo intervistato per farcela raccontare. Sveliamo un primo dettaglio: lui è in realtà… un ciclista (ma a motore, e off-road).
Da Peterhansel ad Al-Attiyah. Sembra che tu sia il navigatore più ricercato su piazza…
“Audi aveva un progetto triennale, concluso a gennaio e Stéphane ha deciso di smettere con l’impegno agonistico. Dunque sono finito sul mercato. Ho ricevuto diverse proposte, quella di Al-Attiyah era inattesa: era legato ad un co-pilota con cui ha vinto tutto, hanno scritto insieme una grandissima storia. Hanno però deciso di dividersi e a me è suonato il telefono…”.
…quando ancora non avevi finito di digerire il risultato della Dakar.
“Era l’ultimo anno di Audi e presumibilmente l’ultimo di Stéphane; avevamo vinto insieme nel 2021 e lavorato sodo allo sviluppo di quest’auto: avevamo grandi aspettative. Il sesto giorno un guasto idraulico non riparabile ci è costato due ore e mezza di ritardo e ci ha tolto tutte le speranze di classifica. Avevamo i mezzi per occupare l’intero podio, con Audi, ma da lì in avanti abbiamo lavorato come portatori d’acqua, a sostegno degli altri equipaggi. È servito: Carlos Sainz ha vinto anche grazie al nostro aiuto, quindi bene. Ma è rimasto un senso di frustrazione e devo togliermi questo gusto amaro dalla bocca.
Sono tornato a casa, ho passato due settimane a girare in bici ed ora sono pronto. Si ricomincia”.
Un attimo: “in bici”?
“Sì. La bici è la mia passione ed è uno dei miei principali strumenti di allenamento. Il ciclismo è lo sport che mi accompagna sin dall’infanzia. E da quando, grazie alla recente amicizia con Stefano Migliorini, il CEO di THOK, ho scoperto la bici elettrica… sono tornato bambino. Sono cresciuto tra foreste e campi, ho trascorso infanzia e adolescenza attraversandoli a pedali. Da che mi sono trasferito sulle alpi svizzere ho trovato nella e-mtb l’ibrido perfetto tra due mie grandi passioni: la mtb e l’enduro motoristico, che qui è impensabile, praticamente vietato”.
Qualcosa unisce dunque te ed Al-Attiyah, oltre alla tensione per la vittoria: l’eclettismo.
“Oltre a essere il pilota di rally più vittorioso degli ultimi 10 anni, Nasser ha partecipato a 5 Olimpiadi di tiro a volo e si prepara alla sesta. È una persona molto umile, ma attiva su diversi fronti. Non ci annoieremo”.
Tu, invece?
“La mountainbike è stato il mio primo sport. Poi ho cominciato con il canottaggio, dove ho vinto 7 titoli francesi e 2 mondiali juniores. Quindi è stata la volta del motociclismo off road: ho corso 13 volte l’Enduropale du Touquet, una gara che vede 1000 partecipanti sulla stessa linea di partenza, e alcuni dei maggiori rally: Faraoni; Tunisia e Marocco. Dal 2015 lavoro come co-pilota. Da due anni sono testimonial delle e-mountainbike di THOK E-Bikes”.
Sbaglio o dimentichi il triathlon?
“È vero, nel tempo libero facevo anche triathlon (ride), e poi Ironman: mi sono qualificato per i Mondiali 2018, che non ho corso per via dei costi. Lo uso ancora per allenarmi, è un modo di mantenersi in forma che apprezzo. Ho però difficoltà a partecipare alle gare, perché sono sold out diversi mesi prima e il lavoro mi rende difficile pianificare in anticipo.
Ultimamente sono passato all’Xterra, il triathlon off road, con trail running e mountainbike: è un vero spasso”.
La mountainbike, dicevi: un cerchio che si chiude.
“Nel luogo in cui abito, la pratica della mountainbike è super impegnativa: è uno scenario di montagna con grandi dislivelli. Inoltre per allenarmi ho bisogno di mantenere frequenze cardiache controllate e di percorrere lunghe distanze. Ecco, tutto l’allenamento cardio-muscolare lo svolgo con una mountainbike elettrica: mi consente un lavoro mirato. Con una bicicletta muscolare sei legato alla tipologia di terreno che trovi, non controlli la frequenza cardiaca; con una bicicletta elettrica puoi regolare lo sforzo e fare allenamenti mirati”.
Sei uno dei navigatori più noti: la Dakar che avete vinto deve molto proprio alle tue scelte. Raccontaci questo ruolo.
“La navigazione è spesso decisiva, ma si tratta di un ruolo ingrato: se vinci, non vinci mai grazie al navigatore; ma se perdi è spesso colpa sua. Basta un errore di navigazione per far dimenticare tutti gli errori di guida, può costare l’intero rally. La verità e che il navigatore può perdere un rally; ma non lo vincerà mai”.
Uno pensa co-pilota e immagina tutt’altro che un atleta. Invece…
“…Invece occorre la massima preparazione fisica, oltre che mentale. Sopportiamo accelerazioni molto violente, con estremi che superano i 15G; in certi momenti siamo come la pallina di un flipper. Per affrontare da seduti percorsi così accidentati, in gare ch, durano 10 ore al giorno e ad una temperatura superiore ai 40 gradi, vestiti di casco e tuta ignifuga, ci vuole un fisico allenatissimo. In più devi reagire a ogni evento che accade, mantenere calma assoluta e tenere il pilota in rotta. Il cervello deve funzionare al 100% in una situazione di stress fisico e psicologico fortissimi. La mia preparazione fisica occupa non meno di 12 ore a settimana. Devo allenare la velocità e l’imprevisto in situazioni di fatica. La mountain bike sulle alpi è sicuramente un ottimo modo di prepararsi perché allena sia il cuore che la vista, con la ricerca delle traiettorie migliori in assenza di tempo decisionale”.
Tra tanti brand disponibili, hai scelto un marchio di nicchia, un produttore italiano. Come mai?
“Non mi interessava un nome famoso, ma qualcosa che facesse al caso mio. Conosco i responsabili di THOK ormai da tempo e hanno un dna motoristico forte, nonostante siano guidati da un ex professionista della mountainbike, come Migliorini. Non a caso Ducati si affida a loro per realizzare le sue bici elettriche. Mi piace il loro approccio e mi piacciono le bici che realizzano: si guidano con facilità e permettono di affrontare salite tecniche come quelle delle mie montagne. D’altra parte in discesa garantiscono velocità e affidabilità, mi ci sento sicuro. Preferisco legarmi ad un marchio “familiare” dove il tuo parere da utilizzatore conta, piuttosto che ad un brand internazionale dove sei solo l’ennesimo cliente e ti adegui a quel che trovi. In THOK ho trovato ascolto e passione”.
Hai avuto due grandi incidenti alla Dakar, raccontaci.
“Il primo nel 2015, quando ero co-pilota di un driver australiano alla Dakar: ci siano infilati in una fossa invisibile, un salto di due metri concluso con un frontale contro la roccia. Lui si è rotto diverse vertebre ed ha perso ripetutamente conoscenza prima che arrivassero i soccorsi. Lo ho dovuto rianimare sei volte. Io fui molto fortunato. Il secondo nel 2023, con Stéphane. Abbiamo saltato una duna di dodici metri e all’atterraggio lui ha perso conoscenza con il piede premuto sull’acceleratore, mentre io mi sono rotto una vertebra: ho ancora le placche di ferro nella schiena, che spero di togliere a breve”.
Il tuo rapporto con la paura.
“La paura è qualcosa che in questo mestiere è necessario avere. Ti spinge a preparati meglio che puoi prima degli eventi, per accumulare quante più probabilità possibile che le cose vadano bene. Genera uno stress intenso, ma può essere anche un motore positivo, per motivarsi a migliorare. Ad ogni modo, per quanto ci si prepari, il momento in cui infili la testa nel casco, nei minuti prima della partenza, è stress puro. Lo sai, che i rischi sono reali. Ma una volta partiti, sei dentro al tuo lavoro. Non hai più tempo per pensarci”. (U.S. Vitamina C)