A testa alta

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Eugenio Sorrentino

L’abbiamo vista tutti la finale di Coppa Italia, insieme a gente collegata da 200 Paesi. C’era la Juventus, è vero, ma il richiamo dell’Atalanta non è da meno. Semplicemente perché chi ama il calcio ha piacere di vedere giocare la squadra bergamasca. Figuriamoci chi la sostiene e ne porta i colori. Certo, il sogno di riportare a Bergamo la Coppa Italia, che l’Atalanta fece sua nel giugno 1963, è sfumato per la seconda volta nel giro di tre anni. Ma la squadra di Gasperini è uscita a testa alta, con la dignità e l’onore che si addice alle formazioni di rango. In finale non ci si arriva per caso e il cammino non è stato semplice, come in ogni competizione. Ed è lodevole che la disamina del dopogara non abbia racchiuso malumori sulle decisioni arbitrali, benché il confronto sugli episodi, almeno un paio, ci siano stati, ma alla fine avere riconosciuto il merito dell’avversario ha reso ancora più importante la presenza dell’Atalanta tra le grandi del calcio italiano.

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Manca ancora un quid, probabilmente un mix di esperienza, capacità di governare lo stato psicofisico e un pizzico di cinismo, per affrontare nel modo giusto le partite secche che valgono qualcosa. Lo dimostra il fatto che, dopo avere a lungo messo pressione ai bianconeri, sia capitato che un ex di lusso come Kulusevski non si sia lasciato sfuggire l’occasione per colpire a modo suo e mettere la firma sul successo. Un’azione nata da un fallo, abbastanza evidente, di Cuadrado su Gosens. La replica di Ruslan Malinovskyi, che ha giustamente impattato ristabilendo un’equità rispondente a quanto espresso nel primo tempo, ha un doppio valore. Oltre a essere il primo gol segnato in una delle quattro finali di Coppa Italia disputate e perse dopo il trionfo del ’63, è stato anche quello che ha permesso all’ucraino di esultare verso il settore dove erano presenti i 900 fedelissimi ammessi al Mapei Stadium. Forse la cosa più bella e significativa della finale: avere ritrovato il primo stuolo di tifosi, in attesa di uscire dall’incubo e dalle rinunce della pandemia. Sono trascorsi esattamente quindici mesi dalla serata di San Siro con il Valencia a quella di Reggio Emilia. Le gambe, la testa e i cuori sono rimasti gli stessi. Nel corso del secondo tempo della finale l’Atalanta non è riuscita a esprimere il suo gioco, la Juventus è uscita con tutto il suo spessore tecnico e la triangolazione tra Chiesa e Kulusevski, che ha dato vita al gol del definitivo 2-1, ha spento ogni capacità di reazione.