Un campione olimpionico della vela si mette davanti a un gruppo di ragazzini alle prime armi e si racconta. Con semplicità, snocciola tutte le esperienze vissute da ragazzino, da quando inizia il suo percorso nel mondo della vela, sino a raggiungere la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (che poi si è disputato nel 2021). Ruggero Tita, oggi trentenne, si mette a disposizione di questo pubblico speciale, in un luogo speciale: la sala degli affreschi dell’Accademia Tadini di Lovere. Quel palazzo che si affaccia sul lago d’Iseo dove un Tita diciottenne, otteneva i primi successi allenandosi proprio fra quelle onde, insieme a un gruppo di amici dell’Associazione velica dell’Alto Sebino, che lo ha fortemente voluto festeggiare.
I ragazzini sono attenti al racconto e lo incalzano con le domande. Vogliono carpire i segreti di un successo che vogliono emulare. Ognuno di loro sogna, da grande, di essere Ruggero Tita, velista mondiale delle Fiamme Gialle. Il campione non si nasconde, anzi si dimostra campione della vita proprio quando rivela tutte le difficoltà, le angosce, le paure, gli sforzi per ottenere i risultati che ora arricchiscono il suo palmares.
Partiamo dalla fine. Qual è il prossimo obiettivo? Dopo aver conquistato un oro olimpico, cosa si può desiderare di più? La domanda è insidiosa. I ragazzi non vanno per il sottile, mettono il campione davanti a un rasoio. “La cosa più difficile da fare, dopo avere ottenuto una medaglia d’oro a una Olimpiade, è quella di vincerne un’altra. Questa sarà la mia prossima sfida. Appuntamento al 2024, per ottenere una seconda medaglia d’oro nella vela”.
Non hai mai pensato di fare lo skipper su Luna Rossa? “Con Luna Rossa ci sto lavorando. In questi mesi siamo a Cagliari e in mancanza della barca stiamo lavorando su un simulatore, che ci aiuta moltissimo a provare le diverse situazioni. La Coppa America sarebbe un altro grande obiettivo da raggiungere. Il problema è che il prossimo appuntamento sarà nelle acque di Barcellona nel 2024, pochi mesi prima delle Olimpiadi. Non so se ce la farò a tenere vive entrambe le situazioni. Se devo scegliere, scelgo di ripetermi alle Olimpiadi. Vedremo”.
Da sottolineare l’impresa ottenuta da Ruggero Tita a Tokyo. Perché l’Italia non vinceva un oro nella vela dal 1952, alle Olimpiadi di Helsinki con Straulino-Rode. 69 anni dopo la coppia vincente italiana si chiama Ruggero Tita e la prodiera Caterina Banti.
Ci sono momenti di tensione durante la regata o durante la preparazione? I ragazzi vogliono sapere, perché anche a loro capita di discutere in barca. “Ci vuole molto affiatamento. È ovvio che quando si vive gomito a gomito per tanto tempo vi siano momenti di divergenze su alcune questioni ”. Poi Ruggero svela un segreto del loro successo. “Il lockdown è stato un periodo difficile per tutti. Lavorare separatamente e poi dover riprendere non è stato semplicissimo. Ci siamo affidati a uno psicologo, esperto nel suo lavoro con le coppie sportive, soprattutto quelle del pattinaggio artistico di figura. Ci siamo rivolti a lui per chiarire alcune dinamiche e ci ha aiutato molto”.
Ma chi comanda in questa parità di genere? “Beh, messi i piedi a terra, non v’è dubbio che sia Cristina a comandare. Ma quando siamo sulla barca, visto che ho la responsabilità del timone, gli accordi sono chiari”.
Puoi spiegare come deve essere tenuta la barca? “Mi ritrovo col detto: Barca bella, barca veloce. Sono pignolo. Prima della gara controllo che tutto sia perfettamente a posto. Passo in rassegna ogni dettaglio. La cura e lo studio dei particolari, insieme agli allenamenti e alla concentrazione mentale, portano a ottenere i migliori risultati”.
E come sei riuscito a conciliare lo sport con lo studio? Che è il problema di tutti i ragazzini presenti. “Tita sottolinea il grande lavoro della sua famiglia. Papà mi ha sempre spronato nello sport, mamma mi ha sempre obbligato nello studio. Il compromesso è stato che alla fine degli allenamenti, ogni giorno, mi ricavavo un’ora e mezzo per lo studio, che doveva essere al massimo della concentrazione per poter ottenere i risultati che i miei compagni di università ottenevano studiando una mattinata intera in biblioteca. Si può fare”.
Quali sono stati i momenti più difficili della tua carriera? E qui Ruggero Tita non nasconde i difficili rapporti avuti con la Federazione. “Alle Olimpiadi di Rio nel 2016 non ho fatto un gran risultato. Ho fatto una bellissima esperienza, ma lì ho scoperto che una Olimpiade non si prepara in poco tempo. Gareggiavo con la barca 49er, che tanti successi mi aveva dato in precedenza e che mi avevano permesso la qualificazione alle Olimpiadi. Poi mi sono innamorato del nacra (che è un catamarano con foil), che ti permette di volare sull’acqua. Una sensazione unica. Io e Caterina abbiamo studiato e interpretato una nuova tecnica di regata e in quegli anni eravamo invincibili. Ma la Federazione non voleva che cambiassimo categoria. C’era già un equipaggio italiano in quella categoria e così si è messa di traverso non appoggiando le nostre iniziative. Abbiamo dovuto fare tutto da soli. Ci siamo comprati una barca usata in Svizzera, giravamo col camper spendendo il meno possibile ma, alla fine, abbiamo ottenuto ottimi risultati. Nel 2018 il titolo europeo e il titolo mondiale. Da qui è seguita poi la qualificazione a Tokyo e la medaglia d’oro. Una grande soddisfazione, non priva di qualche punta di amarezza. Ma la caparbietà e la volontà di ottenere l’obiettivo sono stati vincenti”.
Quando hai deciso che ti saresti dedicato alla vela? “Sono un velista di lago. Sono trentino e il mio lago di riferimento è il Lago di Caldonazzo. Ovviamente all’inizio il mio è stato un approccio ludico. Ho cominciato con la serie Optimist (la barca a vela per bambini) e andavo ad allenarmi sul Lago di Garda quattro giorni alla settimana. All’età di 13 anni ho vinto il campionato italiano. E lì ho pensato che quello sarebbe potuto diventare il mio lavoro. Poi sono passato alla barca 29er. Ho cominciato a regatare in doppio. Intorno ai 16-17 anni sono passato alla barca 49er. Su quella barca ho avuto un grande maestro: Matteo Gritti (ieri presente alla serata). E via via il sogno è divenuto realtà”.
Come si prepara una Olimpiade? “Per andare alle Olimpiadi ci vogliono quattro anni di duro lavoro. Si lavora tutto l’anno, senza interruzioni. Anche quando non hai molta voglia o quando c’è brutto tempo. La mia motivazione è sempre stata quella di pensare che qualcuno, dall’altra parte del mondo, stava lavorando per battermi e questa è stata la più grande molla che mi ha portato a lavorare duramente”.
Auguri Ruggero. Ora vogliamo vederti skipper su Luna Rossa e poi, insieme a Caterina, volare sul tuo catamarano nacra 17 verso l’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024.