Sebastiano Parolini mette un punto sulle Olimpiadi: “Quando la corsa campestre entrerà nel programma dei Giochi Invernali sarà troppo tardi per me, in futuro potrei dedicarmi alla corsa in montagna”

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Sebastiano Parolini sta diventando sempre più una certezza per l’atletica leggera italiana.

Dopo una stagione nel cross corto che l’ha visto assoluto protagonista con la vittoria di una serie di competizioni e il titolo conquistato agli Europei di corsa campestre, il 27enne di Gandino si presenta ai Campionati Italiani Assoluti con l’obiettivo di fare bene anche in pista.

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L’obiettivo sono i 1500 e i 5000 metri, tuttavia il portacolori del Gruppo Alpinistico Vertovese non si preclude nulla e non nasconde l’opportunità di avere un futuro oltre il mondo della corsa come spiegato nell’appuntamento dei Venerdì dello Studio BNC.

Perché ha scelto la corsa campestre?

Mi sono avvicinato piano piano perché, nel mondo dell’atletica e soprattutto nel mezzofondo, c’è un buco di gare che va da ottobre a marzo dove, o si gareggia indoor, ma in Italia ci sono solo due impianti in tutta Italia dotati di una pista totale, oppure la corsa campestre. Questa è una componente allenante che in molti utilizzano anche per testarsi, senza dover affrontare le gare, per cui diciamo che per noi che facciamo mezzofondo, la corsa campestre diventa una tappa di avvicinamento alla stagione estiva. Poi chi come me si focalizza particolarmente sulla fase invernale, si cerca di realizzare la miglior prestazione possibile.

Come combattete il freddo quando gareggiate nel fango e nella neve?

In quel bagno di fango è una questione di sopravvivenza, motivo per cui usare specifiche calzature sono fondamentali per centrare l’obiettivo. Non si usano i soliti tacchetti da calciatore, ma chiodi da nove a dodici millimetri che rappresentano dei veri e propri chiodi appuntiti che permettono di stare in piedi. Chiaramente non è piacevole per le tibie gareggiare con queste scarpe, tuttavia questo è l’unico escamotage per sopravvivere anche perché dopo un’ora le scarpe sono piene di fango. A quel punto cambia anche la percezione del piede con il terreno e questa è senza dubbio una componente da allenare in vista di queste gare. Il freddo invece si impara ad affrontarlo in allenamento visto che la preparazione la svolgiamo principalmente nei prati. In Bergamasca non è facile trovare dei terreni ideali, motivo per cui ci si prepara già al peggio. Quando parti, senti l’adrenalina della situazione e ciò ti spinge a bypassare il freddo. 

Non le è mai capitato di perdere le scarpe in corsa?
A me no, mentre durante gli Europei in Turchia alcuni cari amici hanno perso una scarpa durante la gara Under 23 dovendosi fermare e rimetterla, perdendo tranquillamente un minuto. Mi è invece capitato di rimanere impantanato nel terreno, come se fossero sabbie mobili, e lì ho dovuto spendere parecchie energie per uscire e salvarmi, piuttosto che allungare il percorso e trovare delle aree di terreno un po’ più consistenti per evitare i punti dove passano tutti. Durante i Campionati Regionali a Capodimonte quest’inverno ho trovato un percorso totalmente pieno di fango e lì sono rimasto incastrato, ma a quel punto ho dovuto far i conti anche con delle cadute non piacevolissime, ma che essendo terreno fangoso, ho potuto attutire scivolando senza farmi male. 
Non le è mai capitato di pensare di mollare tutto a causa di condizioni così terribili?
Tendenzialmente sono abbastanza performante in condizioni avverse piuttosto che nei piattoni dove, come se ti trovassi su un campo di calcio, devo correre soltanto. Se dovessi scegliere le condizioni di affrontare un Campionato Italiano, ti direi che preferirei un terreno particolarmente brutto così da poter superare in un’eventuale volata i mezzofondisti.
Sua madre Daniela Vassalli è un ex maratoneta e atleta di corsa in montagna. Quanto l’ha aiutata ad avvicinarsi a questo sport?

Sicuramente mia madre mi ha aiutato a intraprendere questa via, nel senso che ho iniziato a correre quando avevo cinque anni, quando lei ha ripreso l’attività dopo la nascita mia e di mia sorella. Era più un gioco almeno sino ai 12-13 anni quando ho iniziato a fare cose più serie. Da lì sono arrivate le varie medaglie che sono riuscito a portarmi a casa negli ultimi anni e le gare di skymarathon che faceva mia madre, con vari saliscendi in montagna, mi ha senza dubbio aiutato ad essere quello che sono attualmente e avere l’energia giusta.

Non ha mai pensato di trasferirsi nella corsa in montagna?

Prima o poi ci arriverò anch’io, però finchè riesco a mantenere un certo livello, proverò a giocarmela in pista. La corsa in montagna si può fare a ottimi livelli anche a 35/40 anni, motivo per cui non voglio sprecare certe carte in pista finché posso. Il Gruppo Alpinistico Vertovese siamo una realtà piccola, che ha mille sfaccettature e che è piena di persone che affronta la corsa in montagna ad alto livello. Tuttavia anche in pista riusciamo ad avere un bel gruppo di allenamento anche in pista e tutto ciò è appagante.

Qual è la sua distanza preferita in pista?

Seguendo il corpo, la mia distanza madre sono i 3000 metri che sono purtroppo una distanza spuria e che purtroppo si affronta solo in meeting. Fra 1500 e 5000 la punta si tocca lì, ma quelle sono le distanze riconosciute dal CIO per cui devo adattarmi. Nel cross invece le distanze vanno dai 1500 ai 3000 nel corto e questo mi consente di performare al meglio. Il prossimo inverno non ci saranno solo gli Europei, ma anche i Mondiali e per questo cercheremo di affinare la preparazione su quel settore. 

A livello olimpico però ci sono i 3000 metri siepi. Perché non li affronta?

Questo è un altro tasto dolente perché con il mio allenatore ci abbiamo pensato a specializzarci durante la pandemia visto che non c’erano altre gare. Abbiamo testato alcuni passaggi sugli ostacoli, ma vedendo certi miei compagni farsi malino sulle siepi, ho preferito evitare infortuni. Purtroppo non sono così aggraziato nel superare gli ostacoli, quindi in futuro potrei decidere di focalizzarmi una stagione sulle siepi e cercare di migliorare nel superare le barriere. 

Non le pesa non poter affrontare le Olimpiadi?

Penso che il sogno a cinque cerchi lo potrò realizzare come medico, facendo parte dello staff medico della squadra olimpica. Sfortunatamente in Italia stiamo vivendo delle annate pazzesche nei 1500, quindi riuscire a fare il minimo olimpico non garantirebbe di andarci. Nei 5000 sono veramente pochissimi gli atleti presenti nel nostro paese, tuttavia, il minimo richiesto è particolarmente basso e quindi dovrei correre sotto il record italiano per partecipare. Entrare attraverso il ranking significa ottenere ottimi risultati a livello internazionale e ciò sarebbe quanto abbordabile, ma non ci penso molto perchè la faccenda è complicata. Sono comunque felice dei risultati che ho ottenuto e che spero di ottenere, quindi mi concentrerò il prossimo anno sugli Europei in pista e poi sui Mondiali di corsa campestre senza dimenticare la prova iridata fra qualche anno.

L’opportunità non potrebbe arrivare dalla corsa campestre qualora venisse ammessa alle Olimpiadi Invernali?

Chiaramente si sfonda una porta aperta con me visto che la corsa campestre è uno sport un po’ di nicchia, ma di cui si parla da anni di un suo possibile approdo nel consesso olimpico. In genere l’annuncio dell’inserimento avviene qualche edizione prima, motivo per cui se non è ancora stata confermata, nel 2030 difficilmente ci sarà. Dovremo aspettare il 2034 quando avrò trentasei anni e difficilmente potrei competere a quei livelli. L’ho sempre detto: il giorno che decido di ritirarmi, la corsa campestre entrerà nel programma olimpico. 

Lei si sta specializzando in medicina dello sport. Come riesce a coadiuvare un’attività ad alto livello agonistico e lo studio?
Mi sono laureato nel 2022 in medicina e sinceramente in quel periodo ho avuto una gestione abbastanza semplice perché avevo tirocini e lezioni obbligatorie, attraverso le quali riuscivo poi a incastrare gli allenamenti. Con la specializzazione tutto è diventato un po’ più complesso perché dipende dal reparto in cui siamo inseriti. Durante l’anno cambiamo spesso settore come ortopedia, cardiologia, pronto soccorso e medicina interna, tanto che ogni reparto hai i suoi orari e bisogna sottostare a quelli. Al pronto soccorso banalmente devi fare anche delle notti quindi è necessario anche tirare un po’ il collo, tuttavia mi piace organizzarmi con quel brivido in cui ogni uno o due mesi devi resettare e fare il planing della nuova settimana. Finché non vado in burnout sono felice. 

L’atletica diventa quindi anche una forma di sfogo per lei?

Sì, nel senso che nel 2021 quando sono stato fermo praticamente tutto l’anno per una periostite, è stato un disastro. Paradossalmente avevo più tempo libero, ma al tempo stesso mi sono ritrovato ad affrontare un’importante quota di stress psicologico anche legato allo studio. L’atletica può diventare una valvola di sfogo ogni tanto e, nonostante arrivi stremato alla fine dell’allenamento, tutto ciò ti aiuta a diminuire il carico nervoso.

Lei già segue lo sport ad alto livello come medico. Chi ha già avuto modo di prestare attenzione?

Attualmente ho seguito un po’ di raduni nazionali e regionali per l’atletica, per il calcio ho guidato l’Albinoleffe e il prossimo anno starò sull’Atalanta con le giovanile. Inoltre un po’ di volte ho preso parte agli appuntamenti di Coppa del Mondo di sci freestyle e un po’ di Coppa Europa nello sci alpino. Direi che è molto divertente perché sono sport completamente diversi e mi consente di vivere nuove esperienze. Dal prossimo mese farò una trasferta con la FISI a Ushuaia per seguire le atlete di Coppa del Mondo e preparare al tempo stesso al loro fianco gli appuntamenti invernali di corsa campestre.