La notizia del provvedimento di sospensione in via cautelare, assunto dalla seconda sezione del Tribunale nazionale antidoping nei confronti della campionessa paralimpica Martina Caironi, ha destato scalpore nel movimento paralimpico e in generale nel mondo sportivo, ma i contorni della vicenda appaiono fin troppo chiari alla luce della dichiarazione resa dalla stessa atleta, alle prese con un’ulcera formatasi all’apice del moncone del ginocchio amputato. Premesso che non sono in discussione l’onestà e la trasparenza di Martina Caironi, resta da capire come mai una terapia farmacologica ampiamente dichiarata e applicata dal gennaio scorso dopo parere del medico federale, a base di crema cicatrizzante contenente un metabolita di steroide anabolizzante (Clostebol Metabolita) e finalizzata ad allievare il dolore e la sofferenza, sia stata messa in discussione solo in autunno e alla vigilia del campionato mondiale di atletica paralimpica. Nel mese di luglio il controllo antidoping a cui si è sottoposta Martina Caironi, risultato negativo, ha convinto l’atleta bergamasca che fosse la cura giusta per tentare di richiudere la ferita. Benché al controllo del mese di ottobre l’uso della sostanza fosse stata comunicata, come in precedenza, la positività ha indotto la Procura nazionale antidoping a richiedere la sospensione. Non resta che attendere l’esito delle controanalisi del campione B. Intanto, però, Martina Caironi è costretta a saltare l’appuntamento con il Mondiale. Con l’ulteriore beffa di un’ulcera che non vuole saperne di guarire.