Non succede spesso, nel calcio, che qualcuno vi rimanga per così tanto tempo. Trent’anni. Tanti sono gli anni che il dottor Giacomo Poggioli ha trascorso nell’AlbinoLeffe con il ruolo di medico sociale.
Una carriera iniziata nel lontano 1992, quando il Leffe, allora allenato da Bortolo Mutti sorprese tutti e conquistò la promozione in Serie C1. Da allora vi rimase anche quando, nel 1998, il Leffe si fuse con l’Albinese dando vita all’attuale AlbinoLeffe.
Il dottor Poggioli non manca mai, neanche agli allenamenti. Ed è lì, infatti, che lo abbiamo incontrato. A bordo campo a fine seduta. “Anche oggi problemi. Uno zigomo rotto; un pestone da far radiografare. Insomma, qui il lavoro non manca mai”.
Dottor Poggioli, ma come è finito nel mondo del calcio?
“Beh, guardi, è presto detto. Mi sono specializzato in Medicina dello Sport con il solo intento di entrare nel mondo sportivo. Altrimenti non l’avrei fatto”.
E da dove ha cominciato?
“Qui vi voglio svelare un segreto. Ho cominciato nel 1980 al Milan. E sono rimasto lì fino al 1985, quando poi, per motivi professionali, mi sono trasferito in Val Seriana. Ho cominciato al Milan; sono tifosissimo del Milan. A tutt’oggi sono un tifoso sfegatato. E alla vittoria dello scudetto dell’anno scorso ho gioito come pochi”.
Quindi ha cominciato quando il Milan era in B.
“Sì, quell’anno vinse il campionato di B e risalì in Serie A. Ma l’anno dopo tornò in Serie B. Per risalire in A nel 1983. Poi nel 1985, Ramaccioni voleva affidarmi la guida sanitaria della Primavera, ma me ne andai, come detto, in Val Seriana (anche per questioni affettive, ndr)”. Dopo iniziò l’era del Milan di Berlusconi.
In questi trent’anni ha potuto vedere da vicino com’è cambiato il mondo del calcio, nelle sue forme di allenamento, preparazione, prevenzione agli infortuni e tatticamente. Ma com’è cambiato il mondo dell’équipe medica nel calcio?
“Se mi guardo indietro e vado a confrontare ciò che si fa oggi con quello che si faceva trent’anni fa, soprattutto in Serie C, sembra di tornare al MedioEvo. Oggi è cambiato tutto: dagli strumenti, alla capacità di analisi, agli interventi chirurgici. Una volta il guru dello spogliatoio era il massaggiatore. Faceva tutto lui. Il medico andava in panchina per onor di firma. Oggi ci si affida a consulenze esterne di équipe medici multispecialistici importanti. Anche l’AlbinoLeffe, nel suo piccolo, ha rapporti con strutture di livello internazionale”.
Come si cerca di prevenire gli infortuni dei giocatori che, come abbiamo visto anche in questo primo scorcio di campionato in Serie A, se ne contano già parecchi?
“Innanzitutto c’è da tenere conto che veniamo da due anni di Covid, che ha indebolito le strutture fisiche, ma, soprattutto, c’è da tener conto che per due anni c’è stata una concentrazione di partite fatte in poco tempo. Gli atleti non hanno avuto la necessaria capacità di recupero che, nel mondo sportivo, è di vitale importanza, soprattutto difronte agli infortuni. Gli allenatori desiderano accorciare sempre i tempi di recupero. Ma così si rischia soltanto di peggiorare le cose. E comunque la prevenzione agli infortuni si gestisce con le valutazioni individuali dei giocatori studiando le loro posture”.
In questi trent’anni di lavoro all’AlbinoLeffe, qual è stata la più grande soddisfazione?
“Risposta facile. La promozione in Serie B. Poi l’AlbinoLeffe ci è rimasto per dieci anni ed è stata una grande soddisfazione. La gestione di una società calcistica di Serie B è completamente diversa dall’essere in C. Ovviamente, per contro, il momento più buio è stata la retrocessione in C per quei brutti episodi del calcioscommesse”.
Come si trova con la società?
“Se sono rimasto trent’anni significa che ho un buon rapporto con il presidente e con i dirigenti. C’è un bel clima, forse dettato dal fatto che il presidente Andreoletti rimane sempre un po’ distaccato. Non entra mai in confidenza, mantiene una giusta distanza”.
Qual è il segreto per rimanere sempre ad alti livelli?
“Una volta ho invitato in società un mental coach che ha esortato tutti ad avere sempre l’ambizione di fare un campionato di alto livello, anche se sulla carta le credenziali direbbero altro. Tanto è vero che due anni fa siamo arrivati alla finale del playoff, perdendo all’ultimo secondo una partita che, vinta, avrebbe potuto proiettarci di nuovo in Serie B. Nessuno quell’anno se l’aspettava. Eppure ci siamo riusciti”.
Ci racconta un episodio curioso che le è capitato. Per esempio, è mai stato espulso?
“Sì, una volta. A Brescello. Un nostro giocatore venne espulso. Quando ci stavamo avviando verso gli spogliatoi alla fine del primo tempo, mi lasciai scappare una frase del tipo: Ma come si fa a espellere un giocatore così? Solo che non avevo visto l’arbitro che stava subito dietro di noi e ha sentito tutto. Mi ha detto: Lei nel secondo tempo rimanga pure fuori”.
Il dottor Giacomo Poggioli dirige anche il Centro di medicina dello sport a Bergamo, dove tutte le sue squadre passano per i vari test atletici necessari e ha uno sguardo sullo sport multidisciplinare in generale.
Dottor Poggioli, esprima un desiderio.
“Un dirigente mi ha promesso la maglia dell’AlbinoLeffe con la scritta Poggioli e il numero 30. L’aspetto”. E noi con lei. Auguri dottor Poggioli per questi suoi trent’anni di attività portati benissimo, sempre col sorriso, un pizzico di ironia e molta classe. Da oggi quando guarderemo la panchina dell’AlbinoLeffe sarà più ricca da analizzare.