Vedi Parma e poi non giochi

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parmaI 15’ minuti di ritardo con cui sono iniziate le partite della sesta giornata di ritorno in serie A assomigliano drammaticamente al minuto di raccoglimento che si celebra allorquando un lutto colpisce, in modo diretto o indiretto, il sodalizio, un tesserato o dirigente, se non addirittura la società civile. I calciatori danno un segnale, tardivo in verità, della grande preoccupazione che regna a Parma, dove tutto, anche l’acqua che esce dai rubinetti dello stadio Tardini, è sotto sequestro. Emblema di un fallimento gestionale sulle cui cause occorre accertare. In sei mesi nel regno ducale si è passati dal sogno di giocare in Europa League alla quasi retrocessione fino al crack. Si è passati dalla presidenza di Tommaso Ghirardi alla Dastraso Holding Limited (1.000 euro di capitale), al petroliere albanese Rezart Taci rappresentato al vertice della società da Ermir Kodra, fino all’arrivo di Giampietro Manenti, definito interlocutore non credibile dal sindaco parmense Pizzarotti. Insomma la matassa non si sbroglia, gettando il sistema calcio nel panico.

Il mancato accesso in Europa del Parma non è la radice del problema, quantunque l’esclusione sia scattata, a seguito di direttiva Uefa, per il mancato pagamento di circa 300 mila euro di Irpef. Ma dalla scorsa estate tutti i tesserati del Parma non ricevono lo stipendio. A novembre il primo punto di penalizzazione in classifica per il mancato versamento di 15 milioni di euro. Poi il passamano , vero o fantomatico. Nella sessione di calciomercato di gennaio il Parma si priva di undici calciatori e ne ricava appena due milioni. Paletta passa al Milan per un milione. Cassano rescinde il contratto. I debiti del Parma sono saliti a quasi 100 milioni. Figc e Lega Calcio, rimaste a lungo alla finestra, prendono atto fino a convocare un’assemblea il 6 marzo, dopo due partite non disputate e il rischio, concreto, del fallimento totale e del 3-0 da assegnare a tavolino a tutti gli avversari nel girone di ritorno. Campionato falsato è dir poco. La Roma, allo stadio Olimpico, ha pareggiato a reti bianche contro la squadra di Donadoni che ha messo in campo tutto l’orgoglio e l’etica professionale. Ci sono calciatori che restano e magazzinieri da 1.200 euro al mese senza stipendio e senza garanzie. Un precedente pericoloso, maturato perché nessuno ha controllato. L’Italia del pallone sta facendo la figura peggiore. Altrove si ragione con altro criterio. Basti pensare a quanto accaduto al Leeds, dove Massimo Cellino, ex presidente del Cagliari, è stato costretto a dimettersi perché squalificato dalla Football League inglese. Anche nel 2004, a seguito del crac Parmalat, il Parma rischiò di scomparire dall’almanacco del calcio. Allora la società finì nella cordata di salvataggio. Ora è peggio. In ballo ci sono i diritti televisivi e non sono poca cosa. La faccenda coinvolge tutti.

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