Nella vita, come nello sport, non si è campioni per caso. Lo si è capito l’altra sera, quando alla Biblioteca comunale di Gandino, era ospite Gianni Bugno, per una serata trascorsa a chiacchierare di ciclismo.
Protagonista assoluto lui, il corridore di ciclismo su strada, due volte campione del mondo, vincitore del Giro d’Italia, tre volte sul podio del Tour e vincitore della Milano-Sanremo, insomma un palmares di tutto rispetto. Sollecitato dalle domande del giornalista Cristiano Gatti ha ripercorso un po’ tutta la sua vita prima, durante e dopo l’esperienza da professionista delle due ruote.
Tre cose sono assolutamente da sottolineare e da portare nell’albo dei ricordi, da scartabellare quando nella vita personale di ognuno di noi capitano quei momenti un po’ così, dove ci si scoraggia un po’ e ci si lascia andare.
Innanzitutto la scelta di andare in bicicletta. Perché hai scelto proprio la bicicletta come sport? Chiede Cristiano Gatti. E Bugno di rimando, senza esitazione: “Perché è stato un atto di libertà. Quando ero ragazzo i miei mi hanno regalato una bicicletta con la quale ho raggiunto la mia autonomia. Potevo spostarmi da solo e andare a trovare i nonni, che abitavano in una località poco distante, quando volevo. E poi non sono più sceso”. E proprio la libertà è il concetto che lega Bugno anche al post ciclismo. Quando ha smesso di correre, infatti, è diventato pilota di elicotteri.
Perché l’elicottero? Chiede Cristiano Gatti. E Bugno, come se l’interlocutore ancora non avesse capito ribadisce che “l’elicottero ti fa volare. Sei libero. Quando ho finito la carriera di corridore ho preso il brevetto per poter pilotare gli elicotteri. Quando correvo in bici ne avevo sempre uno sopra la testa e ho sempre desiderato di salirci e portarlo in giro. Così la mia libertà è diventata completa”.
Dopo le gare Bugno è diventato il pilota ufficiale con il suo elicottero al seguito del Giro d’Italia per le riprese aeree che servivano alle televisioni.
Libertà, dunque, la prima parola da conservare da questa lezione. La seconda è: sconfitta.
“Dalle vittorie non si impara nulla”, ha detto Bugno, sorprendendo la folta platea in ascolto in biblioteca. “Quando vinci non impari nulla. È quando la maglia rosa (riferendosi al Giro d’Italia) non ce l’hai più che capisci il valore che ha. E riconquistarla ti fa comprendere qual è la via per tornare alla vittoria. È dalle sconfitte che si impara”. E qui scatta un applauso sincero da parte di tutti.
Terza e ultima parola che vogliamo prendere in eredità da Gianni Bugno è: divertimento. Il tema della conversazione è calato sulle nuove leve. Qual è l’approccio giusto per far sì che i ragazzi non abbandonino il ciclismo già da giovanissimi? E anche qui Bugno cancella un sentire comune che vuole che il ciclismo sia soprattutto uno sport di sacrificio. “Ma quale sacrificio”, risponde. “Se fai una cosa con passione la devi fare perché ti piace, ti diverti. E allora il sacrificio non esiste. Arriverai alla fine della tua giornata di allenamento o alla fine di una corsa stanco, ma felice di aver compiuto quella cosa per cui per te vale la pena vivere. E allora non c’è sacrificio. C’è solo il divertimento. Fate in modo che i vostri ragazzi si divertano e tornino a casa felici. Non c’è altro segreto”.
La serata è terminata. Il campione, riservato fin che volete, sintetico nelle risposte e un po’ troppo serioso (non concede sorrisi facilmente e non ama rivedersi nei filmati) porta dentro di sé un enorme bagaglio di valori, alcuni dei quali semina nelle serate cui viene invitato, proprio come è successo a Gandino. Grazie Bugno.