Il ciclismo di casa nei racconti di Ildo Serantoni: “Le salite delle Orobie”

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BikeFellas, luogo d’incontri e poesia. Luogo spartano, che offre sprazzi di vita vissuta. Con la sua officina per le bici, le bici appese ai muri in vendita marchio “Gioppino” e il bar. Ci metti un secondo a metterti a tuo agio. Sei accolto con semplicità e con altrettanta semplicità ti viene offerto un incontro di profondissima cultura sul ciclismo. Qui gli appassionati delle due ruote trovano il loro rifugio. All’intorno il vuoto di una rotonda, ma qui, il pieno di un paio d’ore tutte da ascoltare.

L’occasione è data dalla presentazione del libro di Ildo Serantoni: “Le salite delle Orobie”, dal catalogo delle Edizioni Bolis. Accanto a lui, comodamente seduto sul divano di casa, lo scrittore e giornalista Gino Cervi che prende a stuzzicare la conversazione per far emergere tutta la sapienza di Ildo sul ciclismo.
Chi ha avuto la fortuna di vivere un pezzo della propria esistenza accanto a Ildo Serantoni nel mondo del lavoro, ne ha apprezzato la grande umanità, prima ancora che la preparazione professionale. Bergamo-Milano-Bergamo i suoi trascorsi giornalistici dove dal Giornale di Bergamo è approdato alla Gazzetta dello Sport per tornare in città, questa volta a L’Eco di Bergamo a dirigere la redazione sportiva.

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Sportivo lui medesimo (il suo cuore si divide tra la pratica della pallavolo e il ciclismo), Ildo è una miniera di informazioni. Una vera enciclopedia. L’ispirazione a scrivere questo libro gli nasce guardando ad un altro libro, quello di Beppe Conti: “Dolomiti da leggenda”. La Bergamasca non ha lo stesso appeal, ma le sue montagne sono belle uguali, e anche qui sono state vissute pagine di storia del ciclismo, che meritano di essere narrate e ricordate. E quale migliore occasione, se non scriverlo ora?
Il libro è una stratificazione che narra l’esperienza del cicloamatore. Ildo ogni anno compie non meno di 10 mila chilometri, con la bici muscolare s’intende. Cresciuto a “pane e Coppi” mentre a merenda era “pane e Gimondi” pedalava sempre, anche quando doveva raccontare i ritiri dell’Atalanta in Val di Fiemme.
E in tutti questi anni, lui che di anni ne ha compiuti 81, le salite di tutte le valli bergamasche le ha fatte. E poi le ha anche raccontate quando da queste parti è passato il Giro d’Italia, il Lombardia, il Trofeo Baracchi. Al cicloamatore, quindi, nel libro si sovrappongono i racconti dei ricordi memorabili della storia del ciclismo professionistico.
E infine non tralascia il lato umano. Quelle strade sono anche la storia – a volte drammatica – della vita vissuta sul territorio o della propria famiglia. L’aneddoto del padre salvatosi dall’eccidio dei Fondi di Schilpario il 28 aprile 1945, dove persero la vita dodici vite innocenti per mano della Tagliamento, lascia spazio alla riflessione extrasportiva.

Da sinistra: Gino Cervi e Ildo Serantoni

Nel titolo del libro con il termine salite si entra di diritto nello stereotipo del ciclismo: la salita è fatica. Spettacolo per gli occhi degli appassionati, ma duro lavoro per chi la compie. La definizione di campione data da Felice Gimondi (è sempre Ildo che ricorda) è la sintesi del concetto di fatica nel ciclismo: “Campione è colui che dopo aver dato tutto, riesce a tirar fuori ancora qualcosa”.
Bergamo, terra di fatica e di ciclismo. Ildo ricorda come tra il 1967 e il 2005 Bergamo abbia vinto sette volte il Giro d’Italia con i suoi Gimondi, Gotti e Savoldelli. Negli Anni ’80-’90 al Giro d’Italia c’erano qualcosa come 14 corridori bergamaschi. In un Giro d’Italia, addirittura quattro provenienti dalla San Marco Vertova: Savoldelli, Gualdi, Lanfranchi e Guerini.

Gli aneddoti si sprecano e le pennellate vanno a ricomporre il puzzle di campioni del passato, come il “mulo di Zogno”, ol Tone, Antonio Pesenti, vincitore pure lui nel 1932 di un Giro d’Italia, nonostante la presenza di Binda. Il figlio Guglielmo (pistard), battuto alle Olimpiadi di Melbourne e a Liegi da Michel Rousseau. Ildo Serantoni è un vero e proprio atlante storico. Ricorda addirittura aneddoti dell’anteguerra. Giovanni Gotti di Zogno, per esempio, che una volta arrivato a Trieste si recò in visita alla tomba del padre sepolto dopo la morte giunta mentre era via da casa per lavoro. Con i soldi dei vari premi riuscì a far traslare la salma in quel di Zogno e regalare alla mamma una radio per poter ascoltare le radiocronache del Giro.

La salita che Ildo Serantoni ritiene più vicina al mondo dolomitico è senz’altro il Passo di San Marco, quella che più si avvicina ai duemila metri e offre caratteristiche ambientali da passo alpestre. Mentre la più iconica è la Nembro-Selvino. E quella che più gusti mentre pedali è la salita di Dossena raggiunta dal versante di San Giovanni Bianco. Insomma, un libro per i “ciclosuonati”, come ama descrivere gli appassionati, o meglio, i malati di ciclismo il nostro buon Ildo Serantoni.