Il grido del Pirata, Beppe Conti ricorda Pantani a vent’anni dalla morte: “Ha saputo emozionare gli italiani come Alberto Tomba nello sci”

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Per chi è nato dopo, Marco Pantani è soltanto un dolce desiderio che non si potrà mai realizzare. Una serie di immagini viste in televisione e guardate con il rimpianto di non poter esser stati lì a tifare per quel corridore venuto dal mare per spianare le montagne.

Bastava un suo gesto come quello di togliersi la bandana da quel capo divenuto spoglio troppo presto e lanciare quel grido di battaglia che soltanto un impavido pirata sa sfoderare nel momento più cruento della lotta.

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Piccoli movimenti che hanno fatto emozionare e appassionare milioni di italiani come ricorda Beppe Conti, giornalista Rai e autore de “Le leggende del ciclismo” e “Il Giro d’Italia“ editi da Diarkos nei quali ripercorrere la storia di questo sport, folgorato sulla via di Montecampione dall’avanzata di Marco Pantani.

A distanza di vent’anni, qual è il ricordo più bello che ha di Marco Pantani?
“Avendo vissuto tutta la sua epopea, da quando esordì  tra i professionisti alla Carrera, ne ho moltissimi. Fra questi ne spicca uno risalente al 1995 quando gli ho portato Alberto Tomba all’ospedale di Torino dopo l’infortunio alla Milano-Torino dove si spezzò una gamba. Era ricoverato al C.T.O. e, siccome Tomba si trovava in città per il Salone della Montagna, mi chiese espressamente in privato di portarlo a trovare Pantani. A quel punto mi sono presentato da lui con Tomba ed è stato un incontro molto piacevole con il sorriso di Marco che non potrò mai dimenticare. Dopotutto era un ragazzo dolcissimo”.

Per chi non lo ha vissuto in prima persona, come descriverebbe il fenomeno Pantani?
“Ho avuto il privilegio di seguire per Tuttosport sia Marco Pantani che Alberto Tomba e posso dire che il primo è stato un grande del ciclismo. Fra gli scalatori di tutti i tempi se la gioca con Charlie Gaul e Federico Martin Bahamontes. Il doping non c’entra nulla, è stato in qualsiasi caso un campione straordinario. Purtroppo è capitato nell’epoca sbagliata, quando andavano di moda le lunghe cronometro, soprattutto al Tour, a uso e consumo di Miguel Indurain. Oggi avrebbe fatto sfracelli fra le grandi montagne, le salite dure, i muri che contraddistinguono le nostre corse. Per lui che non era un cronoman, al Tour doveva fare i conti con due crono di circa 60 chilometri l’una quando oggi se ne fa al massimo una da trenta. Sarebbe tutto volto a favore di Pantani. Paradossalmente ha sbagliato epoca, però, al di là delle battute, è stato uno dei corridori più forti di tutti i tempi. Non a caso una impresa come quella di vincere Giro e Tour nello stesso anno è riuscita in Italia soltanto a lui e a Fausto Coppi”.

Tour de France
Marco Pantani nella tappa dell’Alpe d’Huez al Tour de France 1997

In quest’epoca c’è qualcuno che ricorda Marco Pantani e, qualora non ci fosse, c’è l’opportunità di trovarlo in futuro?
“Ci auguriamo che in futuro possa nascere nuovamente un altro re della montagna in riva al mare, oppure in qualsiasi altro punto d’Italia. In futuro non lo sappiamo se potrà accadere, nel frattempo quest’anno Tadej Pogacar proverà a compiere la celebre doppietta. Penso che sia l’unico che possa eguagliare Pantani e lo credo da diversi anni, tanto da ribadirlo quando ha vinto l’ultimo Giro di Lombardia. Non l’ha fatto perché ha sentito me, ma perché l’aveva nell’animo da tempo. Sarà molto bello vederlo in azione perché, come Marco Pantani, è un talento grandissimo, forse più completo rispetto al romagnolo. Marco era probabilmente più forte in salita, ma Tadej è un corridore che sa vincere il Giro delle Fiandre, che sa andar forte a cronometro. Il bello di Pogacar è che si mette sempre in gioco, a differenza di Jonas Vingegaard che preferisce puntare solo sul Tour. E’ sicuramente la corsa più bella del mondo, ma non è l’unica”.

In molti dicono che la sua morte non sia stata causata da un suicidio, ma che piuttosto ci sia stato dietro dell’altro. È d’accordo con questa tesi?
“Da giornalista sportivo giudico i campioni, ma non gli uomini. Per quello c’è qualcun altro. Cosa sia accaduto in quel residence non lo possiamo sapere. Le ipotesi sono molte, ma io posso solo dire che lui è rimasto vittima dalla cocaina che non c’entra niente con lo sport o il ciclismo. È rimasto vittima come possono rimanerlo un architetto, un ingegnere, un giornalista, un medico o qualsiasi altro professionista. Lì è l’uomo a essere interessato, non il ciclista. C’è stata probabilmente una colluttazione, ma tocca ad altre persone giudicarlo. Io sono un giornalista sportivo e io posso giudicare il campione, anche se era tanto forte in bicicletta quando fragile come uomo. L’importante però ora è che venga lasciato riposare in pace.

Giro d'Italia
Marco Pantani scortato dai compagni di squadra durante la scalata al Santuario di Oropa nel Giro d’Italia 1998 © Wikipedia

Marco è stato lasciato solo nel momento più importante della sua vita? Si poteva intervenire per salvarlo?
“Secondo me si poteva fare qualcosa in più, ma è difficile dire chi lo avrebbe potuto fare. Marco non aveva un carattere facile, che magari diceva di sì e poi faceva quello che voleva lui. Quando succedono cose del genere, si pensa sempre che si possa fare qualcosa in più, ma chi e come doveva farlo? Bisognerebbe essere stati là con lui per capire cosa si sarebbe dovuto fare. Sono comunque idee e pareri che lasciano il tempo che trovano. Bisognerebbe capire il rapporto con le persone per parlare di ciò, ma come si fa ora a puntare il dito contro qualcuno perché non ha fatto abbastanza?

Cosa ha lasciato al ciclismo un campione come lui?
“Ha lasciato un ricordo indelebile. Per me è fondamentale che ora riposi in pace e lo si ricordi come campione. È stato un corridore grandissimo, che ha fatto avvicinare al ciclismo moltissimi giovani che non nascono facilmente e che ha saputo fare quanto fatto da Alberto Tomba nello sci. Siamo ancora in attesa che nasca un Tomba, figuriamoci come Pantani. Siamo ottimisti che possa arrivare qualcuno con le sue caratteristiche e speriamo che nasca in futuro qualche campione che, per lo meno, assomigli un po’ a lui”.