L’umanità di un ciclismo a basso potenziale tecnologico

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Più umanità, meno tecnologia. È questa l’espressione di un ciclismo d’epoca (quarant’anni sono un’era dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica) a confronto con il ciclismo dell’oggi. I campioni italiani degli anni ’85-98 a confronto con la mancanza di campioni italiani odierno. A TimeOut Gianni Bugno e Claudio Chiappucci, raccontano, in modo disincantato, il loro ciclismo, che ha innestato i prodromi di quanto si ammira oggi. Dalla tecnologia delle biciclette, ai materiali dell’abbigliamento (la pelle di daino da mettere tra la pelle e i pantaloncini di lana, per evitare le irritazioni al basso ventre è ormai un ricordo, così come i fogli di giornale da mettere sotto la maglia a protezione del freddo per lo stomaco), alla preparazione atletica e all’alimentazione.

Il passaggio da Radio Corse alla radiolina wireless tra l’ammiraglia e il corridore fa capire quanto sia cambiata la tattica durante la corsa. Fa capire anche quanto sia evoluto il ruolo del direttore sportivo e fa capire come sia cambiato il ruolo del corridore.

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Un altro aspetto è l’avvento del pullman, di fatto una home con tutte le necessità e i comfort post e pre gara, che permette alle corse di accorciare le tappe e allungare i trasferimenti. Nessuno più pensa o trova anomalo che un corridore, alla fine di 250 chilometri di gara, riceva dal suo direttore sportivo un biglietto con l’indirizzo dell’albergo da raggiungere con la propria bicicletta da gara. E di presentarsi l’indomani al via partendo dall’albergo sempre con la stessa bicicletta, anche sotto le intemperie del giorno.

Time Out
Da sinistra Gianni Bugno e Claudio Chiappucci (Foto E.P.)

Il corridore Bugno e il corridore Chiappucci si dovevano preoccupare da sé a come prepararsi alle gare, a come allenarsi, a come alimentarsi, a trovare la squadra e occuparsi dei contratti e a studiare la tattica da applicare in gara. Un capitano, come è capitato loro, doveva essere la guida di tutta la squadra che lavorava per loro.

Oggi i corridori hanno a disposizione tutto: dal preparatore atletico, al nutrizionista, al procuratore, al direttore sportivo. Di fatto gli atleti salgono su biciclette formidabili e vengono indirizzati come fossero manovrati da joystick dalle ammiraglie. La tattica di gara non è più fatta dai corridori, ma è l’ammiraglia (dotata di televisione che vede in diretta quanto sta accadendo in ogni secondo della gara), a dare le indicazioni alle proprie squadre.

Ed è questo che fa venire meno il discorso dell’impresa come eravamo abituati ai tempi del ciclismo epico dei Coppi, dei Bartali, dei Gimondi, dei Merckx, degli Indurain. Oggi si lavora sulla distanza dei secondi. È sufficiente portare l’attacco giusto al momento giusto, che a volte significa attaccare gli ultimi chilometri dell’ultima montagna per potersi guadagnare la vittoria finale. Troppa tecnologia per i gusti dei due nostri ex.

Ma perché oggi i corridori cadono così spesso e si fanno così tanto male riportando fratture multiple? La risposta a questi interrogativi è sorprendente. Si cade così spesso – dicono Bugno e Chiappucci – per mancanza di esperienza. Una volta si faceva molta gavetta tra i dilettanti prima di passare al professionismo. Oggi molti corridori arrivano dal virtuale e non riescono a capire quando un terreno è scivoloso o rischioso. E dire che le strade oggi sono molto più curate di quando correvamo noi. E un altro aspetto sono i rumori. Anche la radiolina sempre accesa crea distrazioni ai corridori. Ai nostri tempi era il rumore dell’elicottero che non ti permetteva di sentire i rumori della corsa, come le frenate per esempio.

E, udite udite, ci si rompe così spesso perché questo tipo di alimentazione controllata rende le ossa più fragili. Ahimè, si vola a 60 chilometri orari, ma si è leggeri come uccellini dalle ossa vuote.

E perché non ci sono più campioni in Italia? L’ultima nidiata che si ricordi riporta a Nibali. Bugno spiega: Le squadre forti estere vengono in Italia, individuano i giovani più bravi e se li portano via facendo fare loro il gregario ai più forti campioni della squadra. I ragazzi si accasano in una squadra forte, hanno lo stipendio assicurato e si accontentano. Ma questo non li renderà mai dei campioni vincenti. Perché non ci si abitua a lottare per vincere. Ma solo per servire.

E se vuoi vincere – spiega ancora Bugno – devi avere il coraggio di perdere. Solo così potrai migliorare. E se arrivi secondo oggi potrai arrivare primo domani. Perché dagli errori si impara. E invece io questa cosa non la vedo nei corridori italiani di oggi.

E c’è un’altra questione – sottolinea Bugno -. I ragazzi oggi fanno poco sport. Anche nelle scuole. In generale. Non si fa più sport. E sono sempre meno quelli che lo vogliono fare in modo agonistico.

La migliore lezione di vita arriva da Chiappucci. Gli è stato chiesto: perché sei esploso così avanti con l’età? Nel 1986 durante il Giro di Svizzera sono stato investito da un’auto e mi sono rotto la clavicola e il piede sinistro. Mi è calato il buio – racconta – ho pensato male. È tutto finito. Come faccio a continuare? Solo con la forza di volontà e molti sacrifici El Diablo è tornato in sella alla bici ed è la ragione della sua esplosione tardiva. Un invito ai giovani a credere nei propri sogni, a inseguirli con sacrificio, impegno e dedizione.

E come dicono alla scuola filosofica di Chartres, anche il ciclismo oggi potrebbe ripetere il mantra: “Siamo nani che vivono sulle spalle di giganti”.