Il primo passo di Hateboer

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Andrea Salvi

La frattura della giunzione diafiso-metafisaria del 5° metatarso (altrimenti detta “di Robert Jones”), occorsa al piede destro di Hans Hateboer, deve il nome all’ortopedico di Liverpool che nel 1902 ne fu coinvolto in prima persona, a seguito di un trauma distorsivo riportato mentre danzava. Egli intuì il meccanismo indiretto di frattura, dovuto alla pressione del corpo sul 5° metatarso con il piede atteggiato in inversione (pianta del piede rivolta all’interno) e in appoggio sull’avampiede in flessione plantare (calcagno sollevato). In tale posizione, la giunzione diafiso-metafisaria del 5° metatarso agisce sia come “assorbi-shock” durante le attività sportive, sia come fulcro per il movimento, inserendosi all’apice di tale metatarso i tendini peroneo breve e peroneo tertius insieme alla fascia plantare (fig. 1). Resistendo alla lussazione per la presenza di un forte apparato legamentoso che stabilizza il 5° metatarso, sia con il cuboide, sia con il 4° metatarso, le forze agenti durante la distorsione si scaricano a livello osseo, causando la frattura della sede diafiso-metafisaria, sede sfavorita in quanto provvista di una ridotta vascolarizzazione, come è accaduto al calciatore Hateboer. La frattura di Robert-Jones è tipica degli sport (calcio, basket) che contemplino una continua rotazione del piede, sottoposto a rapide e ripetitive forze di taglio sul suo versante laterale. (fig. 2). Ne sono esposti maggiormente gli atleti che mostrano il varismo del 1° metatarso (componente tipica dell’alluce valgo), in quanto le forze di carico tendono a spostarsi sul 5° metatarso. Il trattamento per uno sportivo è di tipo chirurgico, per favorire il ritorno in sicurezza alle attività atletiche e minimizzare il rischio di rifrattura. L’intervento prevede la stabilizzazione della frattura con vite, che deve presentare alcune importanti caratteristiche: il diametro che non deve essere inferiore a 4.5 mm, la tipologia non cannulata (senza l’utilizzo di un filo guida in frattura sul quale inserirsi) per evitare fallimenti da fatica, preferibilmente a mezzo filetto per favorire la compressione dei capi di frattura, possibilmente provvista di testa per favorirne l’asportazione quando sia necessario, e di lunghezza non superiore al 70% del 5° metatatarso per massimizzarne le forze in torsione. Essendo tale osso curvilineo, la sede di inserzione ideale della vite è tuttora oggetto di discussione. Al termine dell’intervento si applica un tutore, favorendo il ritorno al carico completo a due mesi e il ritorno alle attività sportive a tre mesi.

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