Federica Sorrentino
L’Italia aveva proprio bisogno di una giornata come l’11 luglio. Una data portafortuna per il calcio, che si è confermata tale con il successo degli azzurri di Roberto Mancini nella magica atmosfera di Wembley. Vittoria in rimonta, ottenuta con Donnarumma decisivo tra i pali alla lotteria dei rigori e migliore giocatore del torneo. Il titolo europeo, conquistato nello stesso giorno del trionfo mondiale di 39 anni fa della banda Bearzot e di Plabito Rossi e tre lustri dopo gli eroi di Berlino, era nelle corde, nelle gambe e nella testa di un gruppo apparso straordinario. Nel 1968 c’era voluta una monetina fortunata per eliminare l’ex Unione Sovietica in semifinale e una finale bis per sollevare la Coppa. Allora, in campo due bergamaschi, il mitico capitano Giacinto Facchetti e Angelo Domenghini. Stavolta due atalantini, Matteo Pessina e Raffael Toloi, i primi a fregiarsi di un trofeo in azzurro, benché impiegati in finale. Il giusto e meritato riconoscimento all’Atalanta e a ciò che ha saputo esprimere in sei stagioni in crescendo. Il trionfo di Wembley ribalta la storia e sancisce il valore italico, capace di esprimersi con la tempra e l’orgoglio di chi sa compattarsi con il carattere e l’identità, riconoscendosi nel tricolore. L’Italia aveva bisogno di vincere nel modo in cui ha vinto. Perché l’impresa è iniziata in semifinale con la Spagna e Luis Enrique che ha reso omaggio agli avversari insegnando il valore sportivo ed esaltando gli azzurri quanto rendendo merito alla sua eccellente squadra. L’Italia di Mancini non è solo la squadra campione d’Europa, ma un esempio per il Paese tutto, finendo per rappresentare le capacità migliori di un popolo che sa ritrovarsi nei momenti difficili. E tutti sappiamo quanti ce ne siano stati e quanto serva essere uniti, come hanno dimostrato di saperlo fare gli azzurri del calcio. Capaci di ovattare l’urlo dei tifosi londinesi e restare concentrati per esprimere il meglio del nostro calcio. Il merito di non lasciarsi condizionare dall’ambiente è una prova di maturità.
Agli inglesi resterà negli occhi anche la finale di Wimbledon, il tempo del tennis dove Matteo Berrettini, primo italiano a disputarla, è uscito a testa alta dal confronto con re Djokovic, regalando spettacolo e restandone protagonista. Questo ragazzone romano, che spara servizi da oltre 200 km orari ma nel contempo accarezza la pallina con il tocco d’artista, ha vissuto la sua prima, vera gioia a Bergamo tre anni fa. Orgoglio azzurro nel gran finale di Londra.