Federica Sorrentino
Il fuoco di Olimpia si è spento anche per gli atleti paralimpici, che hanno dato una volta di più dimostrazione di straordinario talento a fronte di limitazioni oggettive che scompaiono d’incanto per diventare ammirazione agonistica. Non un miracolo, ma frutto della tecnica affinata negli anni, superando ostacoli d’ogni tipo, sovvertendo l’idea che non si possa correre veloci, saltare, tirare e lanciare, nuotare, sollevare, cavalcare e altro ancora. Il fatto è che gli atleti paralimpici sorprendono per la loro volontà di cercare ogni volta di superare i propri limiti. Dietro ogni medaglia, di qualsiasi colore, c’è una storia di vita con le difficoltà immaginabili che s’incontrano nell’affrontare gli allenamenti e provare ad alzare l’asticella. Ce lo ha insegnato Bebe Vio, raccontando di essere stata salvata e poi capace di rimettersi in corsa per arrivare a Tokio e riconquistare la medaglia d’oro. Ci sono ex bambini con disabilità che sono parte della loro identità, uomini e donne che hanno incontrato traumi o malattie quando erano nel pieno della loro esistenza. Ma non si sono arresi e hanno ricominciato, scoprendo un’altra via per ritagliarsi uno spazio vincente. Ecco, una cosa che abbiamo imparato assistendo alle gare paralimpiche è la capacità di gioire anche solo per essere riusciti a fare un piccolo passo avanti. Solo per questo meritano di essere definiti tutti e indistintamente campioni paralimpici. Quelli che fanno le imprese sono veri trascinatori del movimento. Lo sono in modo fantastico Martina Caironi, Oney Tapia, Giulia Terzi, che hanno regalato a Bergamo ben nove medaglie paralimpiche. Una decima, al collo di Veronica Yoko Plebani, è finita sulla sponda bresciana del fiume Oglio, che questa giovane atleta attraversa per allenarsi in terra orobica. Non ci sono confini per essere orgogliosi di imprese utili a far capire quanto sia essenziale non smettere di lottare e tirare fuori il meglio e il massimo delle energie per emergere. Le paralimpiadi, e in generale tutto ciò che avviene nel quadriennio di gare paralimpiche nei grandi impianti sportivi come nei campi di provincia, sono un esempio di vigore che oltrepassa i limiti fisici e una iniezione di fiducia per rassodare carattere e forza morale. Chi non ci credeva ha dovuto ricredersi, ha capito di valere e ora non abbandona la sfida. Smessi gli abiti da gara, i paralimpici tornano a essere persone che allo sport hanno dato e dallo sport hanno ricevuto, regalandoci una lezione di vita.