Nella austera ed intoccabile celebrazione del campione 2013, perfino la speaker istituzionale si è lasciata andare ad un “abbiamo atteso 77 anni”…una vita, nient’altro da dire. Una vita per rivedere un suddito della Regina, alzare nuovamente il trofeo di Wimbledon. D’ora in avanti si potranno “abbandonare” le immagini in bianco&nero di Fred Perry (datate 1936), per tornare a sorridere e gioire con il proprio idolo di casa, quello scozzese che ha saputo conquistarsi il pubblico, grazie alle lacrime versate nel 2012 e alla medaglia d’oro Olimpica centrata proprio nella capitale, pochi mesi dopo. Un successo per la propria famiglia, per il proprio coach (Ivan Lendl, mai riuscito nell’impresa!) e per una intera nazione. 3 ore e 15 minuti per sconfiggere in tre set il numero 1 del mondo, Nole Djokovic. 6/4 7/5 6/4 il punteggio finale che condanna il serbo, decisamente lontano dalla migliore condizione. Dopo un primo set piuttosto incerto, ma costellato più da errori che da vincenti, Nole sale prepotentemente 4-1, dando l’idea di poter rientrare in partita (così come accaduto nei 3 precedenti scontri poi vinti), ma qui si blocca e probabilmente paga il gran caldo (una novità per la finalissima!), accentuato dall’acido lattico accumulatosi nelle quasi 5ore di lotta per raggiungere l’ultimo atto. Controbreak e sorpasso Murray, che approfitta anche di un momento di “follia” dell’avversario che perde la testa dopo una futile polemica su una chiamata arbitrale. Ultimo gioco a zero ed ora l’impresa di rimontare da 0-2 diviene più impraticabile (1927 Cochet), di quella di riconsegnare alla Gran Bretagna il titolo maschile. Così nonostante l’ultimo sussulto (Djokovic avanti di un break anche nel terzo set 4-2) ed i 3 match-points consecutivi annullati, Andy alza incredulo le braccia al cielo in un momento che non dimenticherà mai!
(commento di Luca Polesinanti)