Che aria tira in curva?

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curvaLa curva è da sempre la sede per antonomasia delle passioni calcistiche e la fonte di sostegno morale dei calciatori, come lo è pure delle contestazioni quando il risultato e la prestazione non garbano. Incitare è imperativo categorico e tale settore ha dato prova di attaccamento ai colori della squadra e della bandiera in più occasioni. Magari dopo aver perso una finale. Trent’anni or sono, dopo la debacle ai calci di rigori contro il Liverpool allo stadio Olimpico che mandò in frantumi il sogno dell’allora Coppa dei Campioni, la curva sud romanista intonò cori di fedele attaccamento. L’ultimo esempio in ordine di tempo è arrivato dai sostenitori del Borussia Dortmund che hanno perso il derby tutto tedesco nell’ultima finale di Champions League. Cuori e passioni si concentrano in curva, dove prendersi in giro era un’abitudine consolidata finché, un po’ troppo spesso, è sfociata nell’insulto. Premesso che ogni manifestazione di razzismo deve essere contrastata ed eliminata, anche e soprattutto con il concorso dei veri tifosi, il giudizio sulle esternazioni definite di “discriminazione territoriale” lascia perplessi. Nel corso delle stagioni, bisogna ammettere, si è lasciato troppo fare e la situazione in qualche caso è sfuggita di mano fino al punto da contribuire ad alzare il livello delle tensioni e a minacciare scontri prima e dopo la partita. Non è questo lo spirito del calcio e quanto di odioso accade non aiuta certamente a richiamare pubblico e famiglie negli stadio. L’Uefa, Platini in testa, vuole assimilare l’atmosfera a quella dei match di rugby, tanto rispettosamente rudi in campo quanto composti sugli spalti. Il problema vero è che il confine tra l’ammissibile e l’intollerabile è molto sottile ed estremamente soggettivo. E’ lecito sfottere e fino a che punto? E se le ugole si dedicassero a incitare la propria squadra, se la vera guerra diventasse la capacità di soppiantare la spinta corale dei tifosi avversari? Perché ciò maturi deve esserne convinti i protagonisti, quelli che vanno allo stadio e prendono posto in curva. Dopo la sentenza che condanna il Milan a giocare a porte chiuse, con l’eventuale escalation che comporterebbe la perdita della partita in cui si manifestassero nuovi episodi di discriminazione, il dubbio posto da Adriano Galliani sulle effettive responsabilità è quantomeno legittimo. E infatti le curve, messa da parte le rivalità, sono pronte a unirsi per autocondannarsi. Forse è l’occasione per riprendere un dialogo efficace, convincere tutti sulla necessità di rispettarsi e non scadere nelle bieche offese che nulla aggiungono alla prestazione sportiva e all’esito di una partita, responsabilizzare i cosiddetti ultrà e farne degli alleati per un modo nuovo di vivere il calcio. Utopia? No, rispetto.

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