C’è un momento in cui la porta deve restare aperta. Chi ha passato la vita a difenderla, come Bepi Casari, si è ritrovato a oltrepassarla per ritrovarsi in Paradiso alla veneranda età di 91 anni e con lo spirito da fare invidia a un adolescente. Il mitico numero uno dell’Atalanta degli Quaranta e Cinquanta, del Napoli e infine del Padova, che ha vestito la maglia della Nazionale maggiore e di quella Olimpica, ha volato come mai aveva fatto finora. E’ una parte della storia del calcio che non si ripete, fatta di scarpe che gli stessi giocatori provvedevamo a sistemare e di maglie e pantaloncini lavati a casa. Nativo della Bassa Bergamasca, è stato e resta un idolo per l’inconfondibile grido che accompagnava le sue uscite dai pali: “Meeeaaa!”. Insieme all’ardore, la grande compostezza e il rispetto, sempre ricambiato, per ogni avversario. Grande fisico, straordinariamente agile, aveva manoni che diventavano artigli quando si trattava di fermare la palla di cuoio. Uno spettacolo vederlo in azione, scattante e intuitivo sulle traiettorie più insidiose, sicuro nella presa e goliardico nell’accartocciarsi quando c’era da guadagnare tempo per fare respirare la squadra. Così si raccontava Casari, protagonista di tanti aneddoti del calcio che fu, giocato con il cuore e la fatica. Le stesse da mettere in campo nel duro lavoro in fabbrica. Nei difficili anni del dopoguerra si ritenne fortunato a ottenere un contratto che gli avrebbe cambiato la vita. Fu grazie a lui che l’Atalanta poté vantarsi di aver battuto il Grande Torino, perché Bepi Casari volò come un angelo per bloccare il pallone calciato da Valentino Mazzola e diretto all’incrocio dei pali. Fu azzurro alle Olimpiadi di Londra 1948 e al Mondiale del 1950 in Brasile. In terra carioca non venne utilizzato, ma fu meglio così perché si risparmiò la disfatta. Amato, oltre che a Bergamo, anche a Napoli e a Padova dove chiuse la carriera. Casari ha continuato a illuminare la sua vita con un comportamento irreprensibile, da gigante buono, e la tenerezza tipico del nonno. Era il tifoso anziano della tribuna dello stadio di Bergamo e per ogni giornalista che percorreva la scaletta fino alla tribuna stampa, passargli accanto e potergli stringere la mano era un privilegio assoluto. Lo immaginiamo già al lavoro, con la sua anima sempre disponibile, pronto a insegnare agli angeli il senso della posizione e lo scatto da produrre al momento giusto, ma anche come svolgere bene il ruolo di angelo custode per seguire colui che ognuno di loro ha ricevuto in affidamento. (Eugenio Sorrentino)