Le pagini più tristi e nere nella storia trisecolare del calcio italiano, dal 1898 al ai giorni nostri, sono state vissute drammaticamente nella stessa città: Torino. La tragedia di Superga, che nel maggio 1949 cancellò la squadra del Grande Torino, e quella dello stadio Heysel dove il 29 maggio 1985 persero la vita 39 sostenitori della Juventus che avrebbe vinto poi una Coppa dei Campioni macchiata indelebilmente di sangue. Basterebbe questo riassunto a capire quanto rispetto si deve al ricordo di momenti terribili e alla memoria delle vittime e dei loro familiari. Non v’è dubbio che gli striscioni apparsi sugli spalti dello Juventus Stadium, a opera di sedicenti tifosi della Vecchia Signora che, espressione di incolta ignoranza e depravazione morale, si sono distinti nel modo più bieco durante il derby con il Torino, abbiano lasciato il segno e ferito l’intero movimento calcistico. Scritte come “quando volo penso al Toro” e “sono uno schianto”, con chiaro riferimento all’aereo precipitato sulla collina di Superga, sono un’infamia e offendono cuori e coscienze oltre ogni limite. Il giudice sportivo ha comminato 25mila euro di multa alla Juventus, ben sapendo che la società bianconera mai e poi mai avrebbe consentito una tale lorda esibizione, punendone la responsabilità secondo i regolamenti vigenti. Una pena che suona come una beffa e un’ulteriore insulto. Se si chiudono interi settori degli stadi allorquando si incita alla discriminazione territoriale, perché non agire in modo esemplare in un caso di eclatante e diffamante lacerazione dei valori etici e della memoria delle vittime? Le parole rotte dall’emozione e le lacrime di Sandro Mazzola, figlio del mitico Valentino, capitano del Grande Torino perito nella tragedia di Superga, sono il simbolo che accomuna figli e nipoti, generazioni una dopo l’altra, che vedono l’immagine dei propri cari in cornici che il tempo inevitabilmente rende sbiadite ma cuore e anima mantengono viva e brillante.