Un nuovo libro sull’Atalanta: Il romanzo della Dea di Alessandro Ruta

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«Oggi l’Atalanta e Bergamo sono sulla bocca di tutti. Camminiamo con lo sguardo rivolto più lontano ma abbiamo i piedi sempre ben piantati a terra. Perché sappiamo che gli obiettivi, nella vita e nello sport, si raggiungono con sacrificio, pazienza, perseveranza e compattezza», dalla prefazione di Gianpaolo Bellini, ex capitano dell’Atalanta.

AtalantaIn oltre centodieci anni di vita, l’Atalanta è stata tante cose: una squadra legata in maniera strettissima al suo territorio, la “regina delle provinciali”, un vivaio di campioni, uno dei club più solidi e riconoscibili dell’epoca recente. Il calcio italiano non sarebbe la stessa cosa senza i nerazzurri di Bergamo, trionfatori nel maggio 2024 dell’Europa League, primo trofeo internazionale messo in bacheca. L’Atalanta ha però vissuto anche momenti tremendi, e non solo sportivamente parlando. Impossibile, infatti, dimenticare la pandemia di Covid, con l’area bergamasca tra le più colpite al mondo, e con una partita della Dea (si dice) a fare da involontario propagatore del virus. Ma l’Atalanta è prima di tutto un inimitabile modello di gestione, che la rende davvero unica nel panorama del calcio mondiale. Da Gasperini a Mondonico, da Stromberg al Papu Gómez, fino alla famiglia Percassi e all’eroe di Dublino Lookman: la penna di Alessandro Ruta racconta partite storiche, personaggi indimenticabili e aneddoti mai svelati in questo libro dalle tinte nerazzurre della Dea di Bergamo.

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Abbiamo intervistato l’autore. Ecco come è andata:
Partiamo dal capitolo non scritto. L’uscita di scena di Gasperini. Come sempre quando si scrive un libro storico, poi finisce che mentre è in stampa succedono cose… Aggiungerebbe un’appendice?
L’uscita di scena di Gasperini in realtà era nell’aria prima ancora della pubblicazione del libro. L’appendice? Beh, dipende da quello che farà Juric. Comunque scrivendo questo volume ho cercato di concludere, appunto, con l’addio (o arrivederci, chissà), di quello che probabilmente è stato l’allenatore più importante nella storia dell’Atalanta, nonché uno degli allenatori italiani più importanti dal 2000 in avanti”.

Perché il sottotitolo dice: “Il romanzo della Dea”? Questo libro è una sorta di antologia storica dell’Atalanta, proprio come dice il titolo.
La storia dell’Atalanta comunque è centenaria e non c’è dubbio che l’Atalanta di oggi sia figlia o nipote di tutte le precedenti“.

Ha affidato la prefazione a Gianpaolo Bellini, perché e cosa rappresenta?
Premessa, sono milanista: anche se negli ultimi anni data la mia professione giornalistica il tifo si è decisamente annacquato. In vita mia ho visto due volte l’Atalanta a San Siro, in entrambi i casi era finita 3-3 con partite bellissime e assurde, roba di 20 e passa anni fa. E in entrambe le partite giocò Bellini, che comunque è un quasi mio coetaneo, quindi l’ho visto “vicino” alle mia generazione. Poi con la sua carriera sempre fedele ai colori atalantini, la fascia da capitano, mi sembrava ideale per una prefazione“.

Lei ripercorre in modo filologico la storia dall’inizio ai giorni nostri. È chiaro che il decennio ultimo è anche quello più intrigante, e che occupa una parte corposa del libro che racconta dei tanti record e di risultati stupefacenti e coincide con la presidenza Percassi e la direzione tecnica di Gian Piero Gasperini. Che idea si è fatto?
Mi sono fatto l’idea di una sorta di quadratura del cerchio, con il presidente Percassi che diventa presidente della squadra per cui aveva giocato e la trasforma in un’eccellenza del calcio italiano ed europeo. Una sorta di promessa fatta anni prima, ma in ottica futura: “Ci rivedremo e ti renderò grande”. Non che prima non fosse grande, l’Atalanta, ai tempi del Percassi giocatore, ma certo era un continuo su e giù con la B. Ora invece parliamo di una squadra regolarmente in Champions League. E Gasperini con il presidente condivide quella sana voglia di rischiare, cercando di dare un forte marchio identitario: territoriale con Percassi, di gioco con l’allenatore“.

C’è un giocatore che più di altri l’ha affascinata di tutta la storia dell’Atalanta?
Nessun dubbio: Piero Gardoni, il capitano della squadra vittoriosa in Coppa Italia nel 1963. La sua vicenda umana, la sua fine tragica, di cui ho fatto veramente fatica a trovare documentazione, mi hanno toccato davvero nel profondo“.

Le tappe più significative: 1963 vittoria della Coppa Italia; 1988 semifinale di Coppa delle Coppe col Malines; Dublino 2024 vittoria della Europa League. In mezzo c’è stata la retrocessione in Serie C. Com’è stato possibile tutto ciò?
Quando ho iniziato a scrivere questo libro, ammetto la mia ignoranza, non sapevo che l’Atalanta fosse precipitata un anno in Serie C-1. Però credo sia stato formativo per l’ambiente andare a farsi questa stagione all’inferno (aneddoti clamorosi che ho riportato nel libro) per poi ripartire ancora meglio. Com’è stato possibile? Va detto che la B italiana era un campionato tostissimo tra anni Settanta e Ottanta, quindi con una stagione storta rischiavi davvero di finire in C-1 come successo all’Atalanta“.

Due capitoli tristi della recente storia: Doni e Papu Gomez.
Più che tristi direi controversi. Partendo da Doni, da giocatore lo ritenevo sempre come un talento formidabile ma che soffriva l’ambiente troppo “grosso”: Bergamo era la sua collocazione ideale, mi sarebbe piaciuto vederlo fuori da quel contesto. La cosa davvero triste del suo addio, ma di tutti questi giocatori coinvolti in “casi di scommesse”, è quella sorta di ingordigia che li contraddistingue. Tuttavia Doni ha ribadito di essersi pentito, non ci rimane che credergli anche se certo all’epoca rischiò di danneggiare pesantemente il club.
Sul Papu dobbiamo confrontarci con il tipo di gioco “darwiniano” di Gasperini, che non guarda in faccia a nessuno e sceglie i più adatti alla sua “filosofia”, come del resto aveva già dimostrato all’Inter, scottandosi molto però all’epoca. Quando è successo invece il caso del Papu l’allenatore era molto più stabile, più protetto dalla società. Poteva finire meglio? Forse sì. Ma il Papu Gomez e l’Atalanta sono stati una coppia inscindibile e devastante, una volta raggiunto l’apice: in fondo se l’argentino ha trovato un posto nel giro della nazionale, inclusa la convocazione al Mondiale (vinto) nel 2022, molto del merito ce l’aveva la Dea che l’aveva rigenerato e trasformato in un calciatore decisivo“.

L’Atalanta salva i propri bilanci con l’accesso alla Champions League e con le plusvalenze. Lei cita le 10 cessioni di giocatori più significative. Sarà destinata sempre a questo?
Sempre magari no, ma oggi per sopravvivere e non affogare a livello economico certi club, specialmente in Italia, devono fare così. L’Atalanta comunque ha una capacità innata di pescare il meglio dal territorio, una volta quello bergamasco o in generale lombardo, mentre adesso dal “sottobosco” europeo“.

Centro sportivo a Zingonia di altissimo livello, dove crescono i giovani. Stadio di proprietà. Cosa si può aggiungere di più?
Se io penso a cos’era l’Atalanta quando io ero bambino o adolescente mi sembra un gigantesco passo avanti. Cosa aggiungere di più? Forse uno scudetto, ma credo che servirebbe davvero un’impresa. Paradossalmente vedo più facile per l’Atalanta, che ne so, una semifinale di Champions League“.

Lei vive in Spagna. Che eco raccoglie sulla squadra di Bergamo?
Io vivo vicino a Bilbao, dove esiste una squadra (l’Athletic) che ha fatto della fortissima coesione con il territorio il suo marchio di fabbrica. Ecco, viene vista una specie di versione “lombarda” dell’Athletic Bilbao“.

LA STORIA DELL’ATALANTA. Il romanzo della Dea di Alessandro Ruta
Collana: Grande Sport – Pagine: 416 – Prezzo: Euro 18,00 – Edizioni Diarkos