Fabio Capello ripercorre le tappe della sua lunga carriera

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Essere umili, rispettosi, studiare e aggiornarsi costantemente, essere fedeli ai propri valori, saper ascoltare le opinioni di chi si ha intorno seppure nella consapevolezza che, alla fine, nelle decisioni si è sempre soli e che ogni giorno vieni giudicato su qualunque cosa: da come ti comporti quando vinci a quando perdi, come ti comporti con Ronaldo così come con uno della primavera. Questa la ricetta del successo che Fabio Capello, uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio italiano, ha condiviso oggi a Catania con la nutrita platea del Sicily Business Forum.

L’allenatore ha ripercorso tutte le principali tappe della sua lunga carriera con i 400 imprenditori che si sono riuniti nella sala del Four Points by Sheraton Catania Hotel per il più grande evento di business del Sud Italia, realizzato da Plurimpresa in collaborazione con Performance Strategies. L’excursus è partito dal suo primo e più grande allenatore, suo padre, le cui parole dette all’uscita dalla scuola a 15 anni, “Provaci!“, sono state un mantra scolpito nella sua mente per tutta la vita, un input a superare qualsiasi sfida gli si sia presentata.

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Capello ha messo l’accento sull’importanza di saper individuare e gestire i tipi di leader diversi: quelli in campo, quelli dello spogliatoio, quelli positivi e anche quelli negativi, come Ronaldo Luís Nazário de Lima, definito da Capello il “numero uno, quello con più qualità in assoluto” tra i giocatori che ha conosciuto, ma anche un calciatore il cui comportamento dentro e fuori dal campo, lo esasperò al punto da decidere di allontanarlo. “Si rifiutava di impegnarsi per rimettersi in forma e aveva un’influenza negativa su altri 7-8 giocatori che si facevano trascinare nei suoi bagordi serali“. Un ricordo che viene contrapposto invece a quello di David Beckham, ricordato dall’allenatore come un modello di leader positivo: “un ragazzo splendido, di un’umiltà unica“.

La sconfitta più cocente, ricordata da Capello, è stata quella al Milan nell’anno del rientro dal Real Madrid. “Accettai di tornare – ha detto – perché Berlusconi mi chiamò e mi disse che avevano bisogno di me. Mi sentivo in debito nei suoi confronti, a lui dovevo tutto. Era quello che mi aveva tolto dall’ufficio e riportato in campo. Mi fece fare corsi da manager, dei corsi di inglese, altri in ambito psicologico. Vedeva qualcosa in me“. Ma, a differenza della prima esperienza alla guida del Milan, quella stagione non ebbe un buon epilogo. “Trovai una squadra – ha raccontato – che non riuscii ad amalgamare e mi mandarono via. La sconfitta va gestita e va studiata: devi capire gli errori che hai compiuto per non ripeterli più. Dopo quell’esperienza mi venne ancora più voglia di rimettermi in gioco e di non cadere più. Con tanta fatica e tanta volontà, riuscii poi a vincere un campionato con la Roma“.

Fabio CapelloFondamentale, per Capello, è il tema dell’umiltà e il rispetto. “Sono cose che si hanno dentro. Ciò che insegnavo sempre ai miei calciatori era il fatto di trattare sempre con rispetto ed educazione tutti i componenti di una squadra: dai massaggiatori, ai magazzinieri, fino a tutta l’équipe“. Rispondendo alla domanda di Safiria Leccese in merito a chi tra gli allenatori del panorama attuale incarni il suo modello di leadership, Capello ha risposto: “Considerato quello che ha fatto a Napoli, direi Luciano Spalletti“.

Infine, il segreto per reggere la pressione. “Io ho avuto una forza: in casa non si parlava mai di calcio e io non leggevo mai i giornali, né quando vincevo, né quando perdevo. Vivevo – ha concluso l’allenatore – in una sorta di camera sterile. In casa non ho mai portato un trofeo, li tengo in cantina, perché per me quando hai vinto hai fatto solo il tuo lavoro e devi pensare al dopo“. (U.S. Sbf)