Cori offensivi, il calcio si ribelli

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Quelli che con il calcio hanno nulla a che fare. Quelli che usano il calcio come vetrina per assaporare il giusto dell’odio fine a se stesso. Quelli che si ammantano dei vessilli sportivi per fare scempio dei valori. Sono dappertutto. La loro comparsa nello stadio di Livorno (certamente non l’ultima, visto l’andazzo delle ultime stagioni) con i colori gialloblu del Verona certamente non è una novità. Ci dispiace per la società Hellas, ma i cori violenti risalgono all’epoca del Napoli di Maradona e nessuno li ha dimenticati. Stavolta, però, la vergogna si è ripetuta allo stadio Armando Picchi, diventato tempio non solo nel ricordo del grande giocatore e libero dell’Inter euromondiale degli anni ’60 ma da quando vi ha sostato la salma di Pier Mario Morosini prima di ricevere l’ultimo saluto nella sua Bergamo, dove è confluito tutto il mondo del calcio. Dopo la sua terribile e incredibile fine sul campo di Pescara, lo sfortunato centrocampista, che di partite con la maglia amaranto livornese ne ha disputate otto ma sufficienti a farlo entrare nel cuore di quella tifoseria che ne ha apprezzato la serietà, umanità e abnegazione, è riuscito a riunire tutte le bandiere. Un abbraccio intorno al suo funerale che sembrava avesse cancellato per sempre l’incitazione all’odio e alla violenza. Ecco, invece, che un gruppo di sostenitori del Verona insulta il povero Morosini e la sua mamma, dimentichi che questo ragazzo era rimasto orfano dei genitori, aveva subito la perdita del fratello e dovuto occuparsi della sorella gravemente disabile. Ciò nonostante, Pier Mario aveva conservato il sorriso e l’amore per la vita, scelto di legarsi al suo quartiere Monterosso e all’oratorio dove era cresciuto e continuava a dare una mano per sentirsi fino in fondo ciò che voleva continuare ad essere: il ragazzo di sempre. Nel recente passato si sono sentiti cori offensivi perfino contro Padre Pio, il santo di Pietrelcina, proferiti nella terra dove il frate ha svolto la sua missione. Lo scempio alla memoria di Morosini è un disonore profondissimo, soprattutto per la città scaligera da sempre legata ai valori della civiltà, socialità e cultura, nonché uno dei massimi simboli dell’Italia nel mondo. Le scuse ufficiali della società Hellas Verona  vanno considerate un atto dovuto, a cui deve seguire l’identificazione e il definitivo allontanamento di certi personaggi dall’ambiente del calcio e dello sport in generale.  Destino vuole che il dg veronese sia Giovanni Gardini, che ricopriva lo stesso ruolo nel Livorno e ha vissuto sul campo la tragedia di Morosini. Nessuno più di lui può capire cosa si provi in una circostanza simile e quali segni indelebili rimangano nell’animo. La società civile non può né deve permettere che, in nome del calcio, si pertetuino atti dissacranti e offensivi. Ne va della credibilità dell’intero movimento.

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