Federica Sorrentino
Il debutto casalingo stagionale della Dea al Gewiss Stadium, oltre a regalare un’altra rotonda vittoria alla squadra di Gasperini e salutare il ritorno del pubblico (seppure in numero limitato di mille spettatori), ha permesso di celebrare la riconoscenza della comunità bergamasca al mondo della sanità in prima linea nella lotta al Covid-19.
Tra i mille invitati allo stadio, una rappresentanza di operatori sanitari, ospiti del main sponsor nerazzurro Plus500, che hanno assistito alla partita dalla nuova Tribuna Rinascimento.
La delegazione dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, oltre a essere stata nuovamente ringraziata per il lavoro svolto e che stanno continuando ad attuare per la cura dei pazienti contagiati da Covid-19, si è vista consegnare il pallone con cui Josip Iličić ha segnato quattro gol nel match di Champions League Valencia-Atalanta; gol grazie ai quali i ragazzi di Gian Piero Gasperini hanno vinto la partita a L’Estadio de Mestalla, qualificandosi nella Final-8 della prestigiosa competizione.
La consegna del pallone è avvenuta durante l’intervallo, quando Romano Zanforlin, Direttore marketing Atalanta, lo ha donato a Fabio Pezzoli, Direttore sanitario dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, simbolo della lotta al Covid-19.
Pallone che, possiamo affermare, simboleggia il Mola mia dei bergamaschi, la loro forza d’animo e la capacità di non mollare mai, in particolare nei momenti più difficili della lotta alla pandemia da Coronavirus, e giustamente attribuito poi al protagonista della magica serata del 10 marzo a Valencia, vissuta a Bergamo nel clima surreale che ha preceduto i giorni più tristi e il lungo lockdwn. Josip Iličić dimostra come sempre di essere il lato più umano del calcio, riuscendo a trasmettere sensibilità e valori importanti.
Quel pallone vale un attestato di vicinanza, riconoscenza e affetto per medici, infermieri e tutti coloro che sono stati coinvolti in questa terribile lotta; coloro i quali hanno lottato e stanno continuando a lottare, generosamente e instancabilmente, con tutte le proprie forze e competenze contro la pandemia, indossando camici e dispositivi che diventano una divisa quasi a rappresentare un’unica identità professionale nello svolgimento delle rispettive mansioni, cliniche, mediche e sanitarie.
Ecco perché la serata del 10 marzo è destinata a restare scolpita a caratteri cubitali, non solo nella storia dell’Atalanta e del calcio italiano, ma soprattutto nella storia di Bergamo e del popolo bergamasco.