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Il 50ennale di Domingo gol

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Eugenio Sorrentino

La generazione di italiani dai 60 in sù, ma anche quelli di un paio d’anni più giovane ancorché di buona memoria e con grande passione per il calcio, riconosce in Angelo Domenghini da Lallio uno degli eroi di Messico 70. Suo il goal segnato al 10’ del primo tempo della partita di esordio del girone di qualificazione, giocata il 3 giugno 1970 allo stadio La Bombonera di Toluca, con cui l’Italia superò la Svezia. Una legnata rasoterra con il collo del piede destro, dopo aver battuto un calcio d’angolo e scambiato il pallone con Giacinto Facchetti (altro bergamasco doc) e saettato dal vertice sinistro dell’area. A dire il vero fu una clamorosa indecisione il portiere scandinavo Hellstroem, goffamente accartocciato e sorpreso dalla conclusione secca di Domingo. Pallone sotto il corpo e in fondo al sacco. Immagine rimasta nella storia del calcio, perché senza quel bollo l’Italia avrebbe avuto difficoltà ad andare avanti in quel campionato tra le 16 migliori al mondo. Scrisse, invece, pagine memorabili e accarezzò il sogno di vincere definitivamente la coppa Rimet, che alla fine fu appannaggio del Brasile di Pelè. È basta un goal, quel goal, a consentire di accedere ai quarti di finale, mettendo lo zampino anche nella vittoriosa rimonta con il Messico padrone di casa (suo tiraccio e autogol di Pena), per poi disputare la partita delle partite, quella incredibile Italia-Germania 4-3. Nel girone erano finiti 0-0 i match con Uruguay e Israele. Angelo Domenghini, dunque, eroe nazionale. A quel ragazzo aveva guardato e creduto il commissario tecnico Ferruccio Valcareggi, quand’era sulla panchina dell’Atalanta. Fu lui ad accorgersi del ragazzo esile, giovane leva capace di correre sulla fascia destra come pochi, e portarlo in prima squadra fino a farlo esordire il 4 giugno 1961. Due anni per regalarsi la gioia della tripletta al Torino nella finale di coppa Italia consegnata all’Atalanta e la consacrazione con il passaggio all’Inter di Helenio Herrera dove avrebbe vinto tutto. Nel 1968 con un calcio di punizione e pallone sotto la barriera avrebbe riacciuffato la Jugoslavia nella finale impattata del campionato europeo, poi ripetuta e vinta. A quella finale si arrivò per sorteggio, perché la bordata di Domingo nella semifinale con l’Urss si stampò sul palo. Poi, vinto lo scudetto con il Cagliari, l’avventura messicana, il numero 7 sulla maglia azzurra, sempre presente nelle partite di quel mondiale.

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