Gritti la panchina senza veli

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Simone Fornoni

Una serata al Panathlon Club Bergamo “Mario Mangiarotti” per togliere i veli al culto della Dea e ai suoi sacerdoti: “Con Gian Piero Gasperini ci sopportiamo da quindici anni, pur caratterialmente agli opposti. Al primo ciclo al Genoa iniziai allenando quelli che lui aveva scartato dopo il ritiro: promossi in A dietro la Juve al primo colpo. Lui è un genio, va sopra le righe perché sente la pressione e ha bisogno di un nemico da combattere: con gli arbitri e coi giocatori devo mediare io, solitamente seduto a godermi lo spettacolo dell’Atalanta”. Milanese di provincia, Tullio Gritti studia da bergamasco, da vice: “La vostra terra ha una vocazione al lavoro in cui è facile identificarsi. Sono cresciuto all’Ortica, alla Scarioni. Andavo a scuola vicino, i nonni abitavano nei pressi: io sono di Basiano. Da attaccante nasco nel Caravaggio, dopo la rinuncia al ruolo di portiere per un colpo alla milza contro l’Inter da 4 giorni di ricovero a Niguarda”.

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Il successo nello sport come questione di affinità di scopi: “Non siamo gente da salvezza alla trentasettesima. Al nostro primo anno rischiammo di tornare lui a Grugliasco e io a Sirmione: alla sesta giornata, contro il Napoli, ecco tutti insieme giovani di grandi potenzialità come Caldara, Gagliardini e Petagna. Se dobbiamo andarcene, ci dicemmo, facciamolo con le nostre idee. Il presidente Antonio Percassi forse non ci dorme ancora“. L’1-0 del 2 ottobre 2016 firmato dal Mulo di Trieste come spartiacque di una storia semplice: “C’è molta partecipazione, dai pranzi passando per i video, fino alla palestra e all’allenamento. Niente controllo fuori dal campo: è chiaro che se fai le 4 del mattino ci arrivi morto”. Vittorie che vengono da lontano: “Malinovskyi e moglie per imparare l’italiano, che tutti sono tenuti a conoscere, sono andati a scuola. Ronaldo in tre anni di Juve quante parole spiccica? – l’osservazione di Gritti, classe di ferro 1958 come la sua guida – Sono ragazzi eccezionali e intelligenti, disposti a seguirci in un tipo di lavoro diverso. Risultato, 9 elementi agli Europei e 3 in Copa America”. Di battaglie se ne vincono tante: “A Reggio Emilia col Lione, anno 2017, avevo un linfonodo sull’inguine, trovato l’8 dicembre, il giorno dopo. Un linfoma non Hodgkin, poi asportato. Come il mixoma al cuore a giugno. Ma non ho perso un giorno di allenamento. I capelli mi sono ricresciuti più rigogliosi”. E il trofeo da alzare? “Da tecnici abbiamo perso due Coppe Italia, da calciatori una ciascuno, io con la Samp da torinista e lui al Palermo contro la Juve. La quarta sarà la volta buona”.