Un corsa devastante, dirompente, silurante per abbattere un altro muro. Non è quello del suono, ma potrebbe esserlo tenuto conto che la staffetta giamaicana della 4×100 è riuscita a completare il giro di pista in meno di 37 secondi. I loro primi avversari, gli Stati Uniti di Tyson Gay e Ryan Bailey, hanno eguagliato il precedente primato di 37″04 ma non è bastato. I giamaicani hanno chiuso in 36″84 con Usain Bolt che si è messo al collo il terzo oro personale com’era successo a Pechino e ha scritto la leggenda per sé e il Paese del Reggae. Sembrava tutto già scritto, tanto è parso normale che il quartetto giamaicano imponesse la propria supremazia. In prima frazione Nesta Carter, in seconda Michael Frater chiamato a sostituire Asafa Powell infortunato, si limitano a reggere il confronto con gli americani. Quando il testimone è passato a Yohan Blake, che se la vede con Tyson Gay, il leggero margine a favore dei velocisti a stelle e strisce si è esaurito e Ryan Bailey non ha potuto fare altro che tentare di affiancare il fenomeno Bolt, la cui progressione è stata impressionante così come l’arrivo sulla linea del traguardo degna di una schiacciata a canestro. In sostanza, se gli americani continuano ad essere superlativi, i giamaicani sono stratosferici o, se preferite, spaziali. Quelli presenti nello stadio olimpici e la moltitudine di spettatori incollati alla tv potranno affermare “io c’ero”. Predestinati e al momento imbattibili, Bolt e compagni appartengono a una dimensione diversa. Squalificato il Canada, giunto terzo, il bronzo è stato assegnato a Trinidad&Tobago, che ha completato il successo caraibico correndo in 38″12. Quarti i francesi in 38″16. Tra i migliori d’Europa, con Lemaitre, e i figli di Bob Marley c’è una differenza di un secondo e mezzo. Un abisso. Per colmarne una parte non basterà una generazione.