Il mito di Pietro Mennea vive in tv

1144

Pietro-Mennea«Più i sogni sono grandi e più grande è la fatica». Era il motto di Pietro Mennea, tra i più grandi velocisti di tutti i tempi, per 17 anni detentore del record del mondo sui 200 metri: quel 19″72 fatto segnare nel 1979 a Città del Messico, sulla stessa pista che vide trionfare alle Olimpiadi 1968 il nero americano Tommy Smith, passato alla storia per la clamorosa protesta con il pugno alzato per denunciare le discriminazioni razziali. Pietro Mennea da Barletta prese spunto dal mito di Tommy Smith per realizzare i suoi sogni e costruire una carriera fantastica restando l’umile ragazzo del sud. Non era facile raccontare la storia e le motivazioni che hanno accompagnato la vita di Pietro Mennea, scomparso prematuramente due anni fa. L’attore e sceneggiatore Luca Barbareschi, che si è assegnato il ruolo del prof. Carlo Vittori, l’allenatore artefice delle grandi imprese di Mennea, ci è riuscito in modo esemplare, affidando l’interpretazione del campione a Michele Riondino, un attore pugliese. La storia di Pietro Mennea, la Freccia del Sud, andata in onda in prima serata il 29 e 30 marzo su Raiuno, ha realizzato numeri da record. Il grande merito è essere riusciti a raccontarlo come era, un uomo tenace che non aveva le misure antropometriche per diventare un atleta ma ha smentito tutti trascinato da un talento innato il cui carburante è stata la forza di volontà. Forse è per questo che il mitico 19″72 è ancora record europeo sulla distanza, dopo 36 anni. Dalle piste polverose di Barletta all’anello dello stadio di Mosca dove Mennea conquistò l’oro olimpico nell’estate 1980, ci sono gli affetti familiari, gli avversari storici da Borzov a Wells, le lunghe giornate di duri allenamenti alla Scuola di Atletica di Formia, l’amore per la moglie Manuela, conosciuta in realtà dopo i fasti e sposata a 45 anni. Mennea è mancato troppo presto ma il suo mito merita di essere raccontato e trasposto perché le giovani generazioni comprendano quanto le sfide siano dure da vincere e quanto conti lo spirito di sacrificio. Il grande velocista non ha incarnato solo se stesso ma una terra con le sue identità e contraddizioni, lasciata da molti in cerca di futuro. Una cosa è certa: l’Italia deve sentirsi orgogliosa di quanto Mennea ha fatto nella sua carriera sportiva, partecipando a ben cinque olimpiadi, cosa mai riuscita a un velocista. Ma questo campione ha scritto anche lezioni di vita, difendendo il proprio modo di essere, senza mai snaturarsi di fronte alla celebrità. Umile sempre, fino all’ultimo. Umile come solo un grande uomo sa essere.

forbes