Calcio e misure antiviolenza

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ccQuanto è accaduto a Bergamo dopo la partita Atalanta-Roma, all’esterno dello stadio, con l’assalto da guerriglia militare alle forze dell’ordine schierate per impedire contatti con la tifoseria ospite, e i provvedimenti conseguenti adottati dal Ministero dell’Interno è un vero e proprio “case study”. Un altro precedente che si aggiunge alla lista dei comportamenti fuori norma collegati a eventi calcistici. Bergamo è una piazza recidiva, per colpa di pochi che la fanno da padrone, nonostante l’attuale dirigenza dell’Atalanta abbia creato le condizioni per favorire la presenza delle famiglie in occasione delle partite casalinghe. Al termine del match con i giallorossi, il pubblico è defluito normalmente. Tranne un gruppo neppure troppo consistente (si parla di una ottantina di persone), che aveva deciso di tentare la sortita per attaccare il migliaio di sostenitori della Roma chiusi nel recinto antistante il settore ospite in attesa di ripartire con i propri bus e veicoli. Polizia e carabinieri hanno fatto ciò che dovevano, immolandosi ancora una volta e rischiando al cospetto di un comportamento folle e pericoloso, che ha avuto il suo apice nello scoppio di bombe carte imbottite di chiodi e bulloni. Nessun dubbio sull’intento di fare male profondamente ed è già un miracolo che i feriti tra le forze dell’ordine siano una mezza dozzina, qualcuno di essi con lo strascico di probabili cicatrici. E’ altrettanto chiaro che le migliaia di pacifici e onesti sostenitori dell’Atalanta, compresi coloro che con grandi sacrifici si sobbarcano lunghe e costose trasferte per non fare mancare il proprio sostegno alla squadra, pagano il prezzo più caro. E la stessa società, che ha preso ancora una volta le distanze dal tifo oltranzista, subisce l’atteggiamento ultraincivile di un manipolo che nulla ha da spartite con la tradizione calcistica e il decoro del capoluogo orobico. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è stato drastico: tre mesi senza trasferte per i tifosi dell’Atalanta. In questo modo egli ha applicato con il massimo rigore per la prima volta il decreto legge sulla violenza negli stadi introdotto lo scorso mese di agosto. La decisione nasce dal precedente contatto con la forze dell’ordine in occasione della partita Atalanta-Juventus del 27 settembre 2014. I responsabili di queste azioni premeditate erano già sul banco degli imputati. Il problema, da anni e ovunque si presenti, resta sempre lo stesso. L’incapacità di individuare i responsabili e le loro frange e perseguirli a norma di legge, isolandoli in maniera definitiva da chi si era allo stadio per vivere con serenità e partecipazione l’evento sportivo. Le considerazioni sarebbero tante: l’orario di svolgimento delle partite, calendarizzate in base alle esigenze televisive più che alla sicurezza e all’ordine pubblico; la possibilità di permanere nelle vicinanze dello stadio anche da parte di chi non può avere accesso all’impianto, per tenersi pronto ad atti vandalici e di guerriglia urbana; la difficoltà a impedire l’ingresso con oggetti vietati; i ritardi dei piani di adeguamento degli stadi, che dovrebbero prevedere solo posti numerati per tutti i settori e quindi la riconoscibilità di eventuali responsabili di gesti ostili.

Tuttavia, ciò che può avvenire fuori dallo stadio, prima e dopo una partita di calcio, induce a riflettere. Una manifestazione sportiva non può essere terreno di scontro e una città, una qualsiasi tra quelle che possono vantare una squadra nei campionati professionistici o dilettantistici, non può paralizzarsi per ore mettendo a repentaglio l’incolumità dei cittadini e delle forze dell’ordine che li difendono. Forse il caso di Bergamo potrebbe spingere il ministero dell’Interno a collaborare con l’Atalanta per il definitivo isolamento di individui che non possono essere accostati allo spirito con cui la squadra di calcio richiama allo stadio da generazioni il proprio pubblico di appassionati. E la giustizia a fare celermente il proprio corso per applicare le pene previste per chi si macchia di così gravi reati e getta fango sull’immagine di una città. Sarebbe un segnale positivo per il mondo del calcio.

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